Recensione: Karl Marlantes, Deep river

Karl Marlantes
DEEP RIVER
Edizioni Solferino, pp. 785, € 22
Traduzione di Marinella Magrì

La vicenda storica che si svolge lungo le pagine di questo romanzo riguarda la Finlandia e l’America. La Finlandia conobbe il dominio russo fino alla prima guerra mondiale; prima d’allora ci furono diversi tentativi di introdurre idee più democratiche in quel paese. I fratelli Koski, i protagonisti principali della storia, vivono sui lati opposti dell’oceano. Aino e Matti aderiscono ai moti socialisteggianti della Finlandia e sono costretti ad emigrare in America, dove li attende Ilmani, che da anni lavora come boscaiolo. Nell’America di inizio novecento si andavano costruendo movimenti di opposizione al capitalismo; in particolare conosceremo gli Industrial Workers of the World (IWW) a cui Aino aderirà entusiasta e di cui condurrà le lotte per oltre trent’anni. Ma le pure vicende storiche raramente hanno la capacità di tenere il lettore avvinto per oltre settecento pagine, ed ecco allora che lo scrittore innesta nelle vicende sociali faccende personali unite a riferimenti alla mitologia finlandese. Abbiamo così un interessante spaccato di storia, da leggersi però non come documentazione ma come una vicenda soprattutto individuale. I momenti di maggior tensione si hanno infatti quando il socialismo della bella Aimo si scontra con l’individualismo americano, di cui tutti i maschi protagonisti sono più o meno succubi; da ogni scontro se ne esce con un minuscolo avanzamento che, passo passo, conduce il popolo dei lavoratori della pesca e del legname ad avere condizioni di vita e di lavoro nettamente migliori rispetto a quelle di inizio secolo. Il fiume della coscienza di classe trascina tutto in avanti, le vite dei personaggi incarnano i miti realizzando così un destino. Ma un destino fortemente voluto, che non ha niente a che vedere con l’imperscrutabilità della volontà divina: la corrente profonda è mantenuta in movimento dall’uomo, il deep river è l’avvento dell’umanità.

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