Recensione: Pearl S. Buck, La buona terra

Pearl S. Buck
LA BUONA TERRA
Edizioni Mondadori, pp. 298, € 14
Traduzione di Andrea Damiano

L’autrice di questo romanzo racconta, con uno stile piano e partecipato, le vicende della famiglia del contadino cinese Wang Lung seguendolo per una cinquantina d’anni. La vita della plebe cinese dalla fine dell’800 agli anni ’30 non era proprio rose e fiori, per usare una metafora. Ma il buon Wang riceve in moglie una schiava riscattata dalla grande casa ove vive la famiglia Hwang e con lei, la buona e laboriosa O-lan, inizia il suo percorso che lo porterà, attraverso privazioni e la fatica del lavoro, a divenire un grande proprietario terriero. Una specie di telenovela, a voler semplificare. Ma a voler troppo semplificare si perde sempre qualcosa, e in questo caso perdereste un grande romanzo, il romanzo che più di altri scritti valse all’autrice il premio nobel alla letteratura del 1938. L’abilità nel tracciare i caratteri si intreccia a meraviglia con la descrizione di un mondo estraneo alla mentalità dell’occidentale, ma nel quale la Buck visse la sua giovinezza al seguito della famiglia. È quasi impossibile per un occidentale concepire le regole di funzionamento della società cinese, tanto dissimili sono dalla nostra; ma la Buck è bravissima nel descrivere e rendere “accettabili” pratiche che all’occidentale moderno sembrano assurde. Si va quindi dalla vendita delle bambine come schiave/mogli, ai doveri reciproci da rispettare tra i membri della stessa famiglia, alla condizioni di vita dei poverissimi delle campagne. Il tutto impreziosito dall’ottima traduzione, in un italiano d’altri tempi, colto e preciso come ormai non si trova più, anche perché questo titolo proviene dal lontano ’33.
La letteratura è come la buona terra cui il contadino Wang tiene tanto, se è veramente buona non perde mai valore. Anche a distanza di quasi novant’anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *