Recensione: Gianfrancesco Turano, Salutiamo, amico

Gianfrancesco Turano
SALUTIAMO, AMICO
Edizioni Giunti, pp. 414, € 19

all’illustrissimo dott.
Turano Gianfrancesco

Io le volevo scrivere, caro dottore, per ringraziarla molto del bel libro che lei ha scritto e io ho letto. È un libro, questo libro, che si legge con una certa facilità, da non confondere con faciloneria (ah ah ah), perché parla della storia del nostro paese, l’Italia, attraverso la storia di una piccola provincia, Reggio Calabria, che nel 1970 ebbe sul suo territorio dei moti quasi rivoluzionari, ma che non lo erano veramente, come lei spiega benissimo con la lenta ma ferma presa di coscienza dei due protagonisti principali, Nunzio e Luciano, amici incrollabili, che si scambiano un sacco di lettere per tutta la durata del romanzo, lettere scritte in un misto di italiano e dialetto di quei posti, che io che sono di Bergamo faccio una certa fatica a capire, ma che fa un po’ l’effetto del dialetto del compianto Camilleri, spero le faccia piacere il paragone, che lo leggi anche se non lo capisci fino in fondo. Basta.
La rivoluzione di Reggio non fu vera rivoluzione, perché a manovrarla c’erano gli ‘ndranghetisti, che è una parola strana che oggi dicono in tanti ma che allora quasi nessuno, anche perché c’era mezzo di finire sparato dagli ‘ndranghetisti che lo erano anche se nessuno glielo diceva, e insieme a loro c’era l’estrema destra, ovvero i fascisti, tipo Junio Borghese, che era un ex ufficiale della X Mas, una banda di delinquenti che prima della resa della Germania compirono atti di innominabile crudeltà sulla popolazione italiana e sui partigiani che volevano il ritorno della democrazia, e uno si chiede come fosse possibile che un simile personaggio fosse ancora a piede libero, uno magari pensa, ingenuamente, che i cattivi vanno a finire in prigione o che il Mossad li ammazza tutti, e invece no, a Reggio negli anni ’70 c’era pieno di fascisti e infatti il PCI si dissociò subito da questi moti quasi rivoluzionari, individuandone la natura fascista, mentre l’estrema sinistra, quel genio di Sofri con Lotta Continua, disse che quello poteva essere l’inizio della rivoluzione. Basta.
Il suo libro però è bello, dottore, perché mette insieme la storia, che può essere una palla, alla vicenda personale dei due personaggi di cui sopra, due ragazzi in effetti, ma figli di famiglie così compromesse, sia affettivamente – lo vedrà chi leggerà che casino vero – sia politicamente – vicinanza ai servizi segreti e alla ‘ndrangheta anche se non c’era il nome – che c’è da meravigliarsi avessero una affettività così vera, tra loro e nella valutazione di quanto succedeva. E le loro reazioni, tra i vari adulti che cercano, meschinamente per lo più, di farsi strada verso il potere ed il denaro, sono la molla che ti spinge, tu che leggi che poi sarei io che l’ho letto, a finirlo in un amen, senza fatica e con molto divertimento. Chiudo questa lettera di ringraziamento non con il titolo del suo bel libro, salutiamo amico, perché è un modo di dire che in calabrese suona un po’ lugubre, ma con un più sentito “grazie compagno”, che è un modo di dire che trascende la Lombardia e il periodo storico, ed è molto più benaugurale e speranzoso del titolo del suo libro, che però non si poteva intitolare “grazie compagno” perché non c’entra niente.

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