Recensione: Robert Coover, Huck Finn nel West

Robert Coover
HUCK FINN NEL WEST
Edizioni NN, pp. 355, € 19
Traduzione di Riccardo Duranti

Un geniale romanzo postmoderno: questo è in poche parole il mio parere sul libro che Robert Coover ha avuto la forza di sfornare alla bella età di 85 anni. L’idea di base è geniale e impegnativa: Coover fa crescere di alcuni anni l’intraprendente ragazzotto del Missouri e lo sposta nel West, all’apice della sanguinosa conquista dei territori che i coloni avevano da poco intrapreso. E qui, Huck Finn riveste, ma da adulto, i panni che gli aveva cucito addosso Twain. Poco incline alle regole, sempre dalla parte dei deboli e degli onesti, avverso per principio alla violenza gratuita questo Huckleberry Finn mostra tutta l’ipocrisia su cui si è costruito il mito dell’America come nazione della libertà e delle opportunità, incarnate in questo caso da un altra figura letteraria di Twain, ovvero Tom Sawyer. L’amicizia tra Tom – l’America cinica ed egoista – e Huck – l’America ingenua ma indistruttibile – deve confrontarsi con una nuova amicizia del nostro, quella per un indiano, come lui poco incline alle regole e portatore inconsapevole dell’ideale americano della terra, Eteeh.
Con un linguaggio immediato che riflette la mancanza di doppiezza dell’America che vale, splendidamente reso nella traduzione di Riccardo Duranti, il personaggio di Robert Coover unisce il passato e il presente indicando anche una via per il futuro: anche se solo per sé e il suo amico, lontano dal west.

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