Recensione: Chimamanda Ngozi Adichie, Americanah

Chimamanda Ngozi Adichie
AMERICANAH
Edizioni Einaudi, pp. 494, € 15
Traduzione di Andrea Sirotti

Rispetto al precedente Metà di un sole giallo, questo libro della scrittrice nigeriana si deve leggere non come una parabola sugli orrori della guerra e sulla fine dell’idealità, ma sull’oggi, sull’attualità di vivere oggi in Nigeria, come appartenente ad una classe privilegiata, e in America come quasi estraneo. Ifemelu è la bella protagonista della vicenda, che si innamora giovanissima di Obinze, suo compagno di studi. Si giurano eterno amore e poi lei parte per l’America. Il proverbio recita “vedersi poco amarsi tanto”, ma in questo caso non funziona. L’America cambia le carte in tavola, e Ifemelu inizia un processo di separazione da Obinze e di acclimatamento alla cultura americana. Ma questa trasformazione è solo parziale: forti sono le radici, e altrettanto forte è l’amore perduto.
Come dicevo all’inizio siamo lontani dalla potenza metaforica del secondo libro della Adichie. C’è di sicuro pregio la capacità di analisi di una cultura non sua da parte di uno straniero; il blog che Ifemelu apre in America con le sue osservazioni da Nera non americana sui Neri d’America e il concetto di razza, di cui non si può parlare ma che permea la cultura del paese, è ricco di di osservazioni acute. Altrettanto acuti sono i pensieri della protagonista su di sé e sugli uomini che occupano la sua vita e sui suoi rapporti con amici e famiglia. M’è parso però più un libro sull’individuo alle prese col mondo che un libro su come il mondo tratta gli individui, che può essere considerato uno dei più importanti discrimini tra la letteratura che passa e quella che resta. Di lettura gradevole e appassionante, mai drammatico ma mai gratuito, il libro ha i suoi momenti migliori proprio quando Ifemelu si pone come osservatrice di un mondo che fatica ad accettare, come una straniera sia all’estero sia in Nigeria. Insomma, quando pensa come un’americanah.

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