Recensione: Annalena McAfee, Belladonna

Annalena McAfee
BELLADONNA
Edizioni Einaudi, pp. 251, € 19,50
Traduzione di Daniele Petruccioli

Eve, la pittrice attorno alla cui vita si snoda l’opera, vive a Londra con il marito Kristoff, noto architetto. La incontriamo nel primo capitolo sola per le vie di Londra; è intenta ad osservare la casa del marito in una fredda serata invernale. Il marito sorseggia vino con una giovane donna dai capelli rossi: è subito chiaro che è successo qualcosa nella vita di Eve. La storia porterà Eve dalla casa di Kristoff alla sua destinazione, ed in questo errare l’autrice inserisce capitoli che ci raccontano la vita di questa donna. Approdata giovanissima nella New York della Factory, Eve condividerà con due amiche, Wanda e Mara, un appartamento: da qui parte tutto. Il suo amore giovanile per il pittore Florian Kis, i suoi dissapori con Wanda e Mara, lo sviluppo di un’idea dell’arte come espressione integrale della realtà ma attraverso gli occhi dell’artista; e infine il matrimonio, borghese, con il già affermato architetto. Ora però, dopo più di trent’anni, sia l’amore di coppia sia l’ispirazione artistica – la borghesia è nemica dell’arte – sono un po’ in calo ed Eve è insoddisfatta. L’insoddisfazione per la realtà, così com’è, è la molla che spinge l’artista a creare e fornire così una realtà più autentica. Eve sarà ingrado di accettare fino in fondo tutte le conseguenze della sua sfida lanciata alla realtà.
Un ottimo romanzo che parla dell’arte contemporanea dandone una visione estremamente credibile, raccontando la vita di alcune persone che di essa si occupano.

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