Recensione: P. Christin e S. Verdier, Orwell

Pierre Christin e Sébastien Verdier
ORWELL
Edizioni L’ippocampo, pp. 148, € 19,90
Traduzione di Fabiano Ascari

Non so quanto interesse la vita di George Orwell possa suscitare oggi in un clima così diverso. Eppure, chi volesse trovare un modello di comportamento per quella figura ormai desueta che è l’intellettuale, in Orwell troverebbe sicura fonte d’ispirazione. Gli autori sono coadiuvati nella realizzazione dei disegni da nomi famosi – cito Bilal e Larcenet – che rendono molto bene quel senso di vicinanza ai più umili che lo scrittore inglese dimostrò nel corso della sua vita. Una vicinanza però non succube; Orwell non aveva il mito del povero-ma-buono. La povertà, le ristrettezze di vita materiale incidono pesantemente sulle vite dei personaggi dei suoi romanzi e li rendono talvolta meschini; ma proprio in questa meschinità è talvolta a loro possibile compiere esperienze rivelatrici.
Orwell non si è mai sottratto all’esperienza, ha vissuto in prima persona difficoltà economiche e rischi, e ha trasferito tutto ciò, in forma romanzata, nelle sue opere. Che non si limitano, si badi bene, ai successi più noti – La fattoria degli animali e 1984 – ma includono romanzi di formazione, esperienze di viaggio e militari. Un’unione integrale di vita e produzione letteraria, un ideale che forse appartiene a tempi che non torneranno, ma che è bene tenere presente se non si vuole che la povertà materiale diventi anche una povertà spirituale.
Che è l’avvertimento che dalla bella copertina rossa lancia lo sguardo serio di George Orwell.

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