Recensione: John Smolens, Margine di fuoco

John Smolens
MARGINE DI FUOCO
Edizioni Mattioli 1885, pp. 254, € 16
Traduzione di Sebastiano Pezzani

La solita piccola cittadina americana; il solito vice sceriffo con figlio problematico; il solito trentenne che si innamora di una ragazzina, meglio, di una ragazza non-più-ragazza. Difficile trovare un altro modo di definire lo status di Hannah, che a diciotto anni s’è fatta mettere incinta da Sean e poi ha abortito. Questa situazione standard cambia all’arrivo di Martin, che è tornato a Whitefish Harbor per sistemare la casa lasciatagli dalla nonna; e cambia perché Martin si innamora di Hannah, e viceversa, cosa presa poco bene da Sean, che ritorna al paese dopo un anno a fare il militare in Italia. Il tutto vi si presenta ancor più intricato se vi dico che Sean è il figlio della sceriffo, il figlio problematico appunto. Tutti questi fili tesi si intrecciano molto bene in quello che non può definirsi un thriller, ma non può nemmeno ambire allo status di sottile analisi psicologica della vita di provincia; se dobbiamo dargli un’etichetta, chiamiamolo romanzo di formazione.
Anche se la scrittura è di buon livello, le psicologie delineate lo sono appunto un po’ sommariamente e anche l’outsider del paese, Pearly, il personaggio più originale della vicenda, che è presente in tutto il romanzo giungendo ad avere un ruolo centrale nell’epilogo, sembra più una maschera della commedia plautina che un uomo reale. Il suo merito principale è solo quello di farsi carico dei peccati di tutti, come in ogni buon romanzo di formazione che si rispetti. L’aspetto più interessante del romanzo è nella descrizione della vita del paese che, pur essendo situato all’estremo nord degli States, sembra governato dalla medesima mentalità ristretta di un paesino razzista del Texas in un film ambientato negli anni ’60. I comportamenti di tutti i personaggi convergono verso un unico punto, sottomessi ad un codice d’onore che non trova piena giustificazione in ciò che succede. Questa convergenza, questo fire point del titolo orginale (che si sarebbe potuto lasciare) sa un po’ di finale costruito per ottenere un determinato effetto. Sufficiente per completare la lettura, un po’ poco per meritarsi il titolo di miglior libro dell’anno secondo il Detroit Free Press.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *