Recensione: Alessandro Robecchi, I cerchi nell’acqua

Alessandro Robecchi
I CERCHI NELL’ACQUA
Edizioni Sellerio, pp. 394, € 15

I due poliziotti protagonisti della vicenda, Carella e Ghezzi, sono due personaggi marginali nella saga che Alessandro Robecchi ha portato fino al settimo episodio. Per chi, come me, ha avuto la sbadataggine di non seguire dall’inizio le vicende che vedono coinvolto Carlo Monterossi in veste di protagonista e investigatore per caso, ha con questo romanzo un’ottima occasione per entrare nel mondo che Robecchi ha creato.
Il romanzo inizia da una serata che Monterossi organizza per sdebitarsi con Ghezzi, un poliziotto a cui deve un favore; dopo la cena, la moglie di Ghezzi e l’amica di Monterossi vanno al cinema e i due iniziano a parlare. Ghezzi spiazza subito il compìto Monterossi che cerca di scusarsi per non essere riuscito a portare la sua storia in televisione, dicendogli che non può avere idea di com’è la vita reale di quelli che escono dal suo campo visivo, dal ristretto obiettivo dei mass media. Si siede comodo sulla ricca poltrona di pelle di Monterossi, una poltrona che lo stipendio di Ghezzi non potrebbe nemmeno immaginare, ed inizia a raccontare. E la storia che racconta parla di tutti gli invisibili al mondo della televisione, di tutti quelli che per denaro, per incapacità proprie e per sfortune che si accumulano dall’inizio del percorso, diventano vittime e carnefici. Nello specifico, Carella, il socio di Ghezzi, aspetta fuori da Bollate uno che ha quasi ammazzato di botte una ragazza e che deve essere scarcerato; lo fa da privato cittadino, perché è in ferie. Nel mentre, Ghezzi è contattato dalla moglie del suo primo arresto, che risale a trent’anni prima. Questa donna gli chiede d’aiutarla, ché il marito è scomparso.
Queste due vicende ovviamente si intrecceranno, come in ogni buon noir, e mentre si intrecciano nelle parole che Ghezzi scarica su Monterossi, scopriamo davvero – e non con gli occhi della televisione – quelle persone che di sé, in televisione, danno un’immagine che serve a rincuorare tutti, a dare a tutti l’idea che un senso esista. E invece nel libro finiamo per scoprire più che il senso nascosto dell’esistenza, che la vita è «fare quello che si può, veder scorrere i giorni, essere amici». Può bastare, secondo me.

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