Recensione: Tim Spector, Il mito della dieta

Tim Spector
IL MITO DELLA DIETA
Edizioni Bollati Boringhieri, pp. 322, € 14
Traduzione di Francesca Pe’

Un interessantissimo libro che mira a sfatare tutta una serie di leggende diffusissime ma prive di alcuna base scientifica – come ogni leggenda d’altronde. Il centro di tutto il discorso sta nello svelare il ruolo imprevisto dei microbi nell’intestino umano. Solo per dare dei numeri, sappiate che il peso totale dei microbi che ospitiamo si aggira sui 2 chili. La frase che riporto di seguito sintetizza in poche parole l’intento dell’autore: «È utile pensare alla comunità microbica come a un giardino di cui ciascuno di noi è responsabile. Dobbiamo assicuraci che il suolo (l’intestino) in cui le piante (i microbi) crescono sia sano e contenga abbondanti nutrienti; per impedire che le erbacce e le piante velenose (i microbi tossici o patogeni) prendano il sopravvento dobbiamo coltivare la più ampia varietà possibile di piante e semi. In che modo? La chiave è la diversità» (pp. 34-35).
L’assorbimento delle sostanze nutrienti contenute nel cibo dipende in larga parte dalla salute della comunità microbica ospitata nel nostro organismo. Questa comunità dovrebbe avere la composizione più variegata possibile. Dato che ogni individuo è assolutamente originale nella sua composizione fisica, ne deriva che ogni dieta che preveda in maniera rigida l’esclusione di alcuni cibi a vantaggio di altri si dimostra inefficiente e potenzialmente dannosa. Il primo punto da ritenere assodato è «la sorprendente mancanza di prove a supporto dei potenziali benefici o danni che qualsiasi alimento può avere sulla salute» (p. 80). Ogni alimento ha una composizione stabilita i cui effetti variano però a seconda degli elementi cui è combinato. Poco oltre viene discusso il caso della carnitina, di cui molti avranno sentito parlare: «appare evidente che gli integratori di carnitina sono sia inutili sia molto pericolosi per il cuore. È l’ennesimo esempio di come spesso prendiamo un singolo nutriente astraendolo da contesto e lo promuoviamo come un toccasana per la salute, mentre in genere è vero il contrario» (p. 153).
Questo libro, al di là degli esempi specifici, è da intendersi come una raccolta di consigli, suffragati però da prove scientifiche. Va tenuto presente anche il fatto che l’autore è inglese, e quindi abituato ad una dieta di partenza composta da cibi diversi da quelli a cui noi siamo abituati perché li troviamo facilmente e di qualità generalmente superiore a quello che si trova al di fuori dei paesi mediterranei; in più punti l’autore tributa lodi alla dieta mediterranea, appunto, che per noi è abbastanza facile seguire. Questo abbastanza va però letto con attenzione. Il processo di industrializzazione ha ormai investito anche la sfera alimentare; basti pensare che l’80% dei cibi in vendita nella grande distribuzione è composto da soli 4 elementi (mais, soia, grasso e carne). Ne consegue che se si vuole perseguire una dieta varia, e quindi salutare, è bene rifuggire dai prodotti in vendita già pronti per il consumo. Al riguardo l’autore racconta che la diffusione dei conservanti negli alimenti fu motivata dall’ampiezza delle distanze che dovevano coprire i cibi in America, paese da sempre all’avanguardia per le innovazioni. Il cibo, tradizionalmente conservato con burro e lardo, non poteva fare lunghi spostamenti ne restare conservato per lunghi periodi. Si scoprirono allora sostituti artificiali che, complice una legge via via più permissiva, rese in breve naturale avere ogni tipo di cibo disponibile in ogni periodo dell’anno e in ogni luogo; unico difetto, questi cibi smettono di possedere quella varietà, legata alle stagioni e ai luoghi, che permettono al microbioma di diventare resistente e adattabile. A questo mutamento potrebbe essere collegata la diffusione sempre maggiore di allergie ed intolleranze alimentari.
Ampio spazio è anche dedicato ai famigerati grassi, che da decenni sono indicati come il principale elemento da evitare nelle diete cosiddette salutari. Nulla di più falso: «Oggi il nostro rapporto con i grassi è estremamente complesso, e il semplice dogma secondo cui dovremmo ridurne il consumo è privo di basi scientifiche […]. La dicitura zero grassi indica che il prodotto in questione ha subito un processo di lavorazione industriale, non che fa bene alla salute» (p. 133).
«Per il 99% delle persone una dieta bilanciata ricca di frutta e verdura fresca, con un po’ di carne di tanto in tanto, è più che sufficiente per garantire una quantità ottimale di vitamine, ma molti non ne sono così convinti» (p. 267). L’insicurezza delle persone di fronte al tam tam allarmante dei mezzi di informazione è la vera ragione dell’affermarsi del mito delle diete. Ogni discorso al riguardo dovrebbe basarsi sul buon senso, ma contro il buon senso si batte l’industria, che non ha nessun vantaggio nell’avere un pubblico che si muove seguendo la ragione. Molto meglio un pubblico timoroso, alla ricerca di soluzioni veloci e generali, un pubblico che dimentica il fatto che per trovare una soluzione duratura ci vuole tempo e che ogni caso è possibile richieda una risposta diversa.
Per chi non avesse voglia di leggere il libro, il consiglio che l’autore dà, in sintesi, è di attenersi ad una certa morigeratezza alimentare; il solo comportamento che consente, una tantum, di non essere morigerati.

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