Recensione: Valeria Luiselli, Archivio dei bambini perduti

Valeria Luiselli
ARCHIVIO DEI BAMBINI PERDUTI
Edizioni La nuova frontiera, pp. 405, € 20
Traduzione Tommaso Pincio

Intrecciando abilmente una vicenda reale – il treno detto ‘la bestia’ che ogni anno trasporta migliaia di immigranti clandestini dal Messico all’America – ad una vicenda immaginaria – una famiglia che si sta sgretolando e che si sposta per un ultimo tentativo di rinascita verso gli stati del sud degli Stati Uniti – Valeria Luiselli ha creato un romanzo che avvince il lettore da molti punti di vista. La storia della famiglia si dipana poco per volta davanti agli occhi del lettore; il marito e la moglie si sono conosciuti per la comune passione, sfociata in un lavoro, per l’acustemologia. Entrambi si occupano di campionare i suoni ambientali, per documentare la vita quotidiana delle persone, convinti che attraverso questi suoni sia possibile comprenderne le vite: epistemologia dall’acustico, ovvero ricerca della verità attraverso il suono. Prima di conoscersi entrambi avevano già avuto un figlio, lui, una figlia, lei. Dopo che si sono sposati i due bambini – per tutto il romanzo il maschio e la femmina – sono diventati fratelli.
Ora che, dopo cinque anni, il rapporto tra i rispettivi genitori si è inaridito, i due restano comunque fratello e sorella, e per tutta la durata del romanzo il lettore diviene man mano consapevole dell’inevitabile separazione dei due bambini. Questa è la parte emotivamente meglio costruita della vicenda. Prima di ogni partenza si fanno i bagagli e ogni componente della famiglia ha a disposizione delle scatole, 4 il marito e una ciascuno gli altri. Ogni scatola descriverà parte del viaggio, attraverso brevi capitoli che articolano alla perfezione il divenire dei rapporti tra gli adulti e i bambini, tra gli adulti e lo specifico interesse acustemologico, dei bambini tra loro. E su tutte queste vicende personali svolge un ruolo di collante la storia raccontata dalle elegie dei bambini perduti, i piccoli migranti messicani; la moglie sta cercando di aiutare a non essere rispedite in Messico le due figlie di una sua amica, immigrata clandestina. Di questi sette bambini – inventati e realissimi allo stesso tempo – viene raccontata la vicenda immaginaria in queste piccole parentesi che la moglie estrae da un libro dalla copertina rossa e nel quale troveremo la saldatura tra la realtà della famiglia e l’immaginario dell’emigrazione o, che è forse lo stesso, tra un archetipo di destino di famiglia e una disumana esperienza migratoria. Unite dall’incedere inesorabile di ciò che accade senza che si possa trovare un responsabile.
E che solo la memoria, l’archivio, può riscattare.

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