Recensione: Dominique Manotti, Vite bruciate

Dominique Manotti
VITE BRUCIATE
Edizioni Sellerio, pp. 295, € 14,00
Traduzione Claudio Castellani

Quando un romanzo assume connotazioni politiche rischia sempre di scadere nell’invettiva gratuita contro una parte o l’altra. Niente di tutto questo succede nelle storie che Dominique Manotti ci racconta. L’incidente occorso nella fabbrica della Daewoo dove si svolge l’azione è il punto d’inizio di una storia molto serrata in cui, con lo stile secco e molto poco incline a compromessi che le si riconosce, la Manotti ci descrive le trame di potere che, opponendo i ‘padroni’ agli operai mantengono in movimento l’economia mondiale. L’incidente, per iniziare; poi, la protesta degli operai che sfocia in un’occupazione con sequestro dei dirigenti. Ma tutto si ferma quasi subito, per la scarsa capacità organizzativa degli operai e per le manovre delittuose messe in atto dai dirigenti.
Scaturisce da questi fatti, più o meno casuali, un’indagine di polizia che in breve vede coinvolti e contrapposti due schieramenti. In palio, i finanziamenti europei – la fabbrica è in Lorena, una zona depressa della Francia post industriale – e il destino di centinai di lavoratori e relative famiglie. Il desiderio dei dirigenti di mantenere la propria posizione di potere schiaccerà i destini di quelli che non cercano altro che un po’ di tranquillità per sé e i propri cari. Qualcuno, anche tra gli operai, ne verrà fuori; ma il prezzo saranno le vite bruciate, di quelli che non sosterranno il peso della lotta.

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