Recensione: Mathias Enard, La perfezione del tiro

Mathias Enard
LA PERFEZIONE DEL TIRO
Edizioni e/o, pp. 183, € 16,00
traduzione Yasmina Melaouah

In tutta onestà è difficile parlare di questo libro, perché tocca con assoluta mancanza di filtri il tema della violenza. Dire con Oscar Wilde che la vita imita l’arte più di quanto l’arte non imiti la vita può servire ad un iniziale tentativo di comprensione. Il cecchino protagonista di questo libro, un cecchino immaginario, collocato in qualche guerra tra la ex Yugoslavia e la penisola mediorientale, può esser preso a modello da tutti i cecchini de mondo; l’arte, il cecchino immaginario, è molto più vero di qualsiasi cecchino reale che abbia raccontato il proprio mestiere ad un giornalista o di fronte a qualche telecamera.
Sì, per il protagonista del romanzo, andare sui tetti e sparare agli sconosciuti è un lavoro, un lavoro come un altro, che dà soddisfazioni e preoccupazioni ma che va svolto alla perfezione. Il cecchino ha compiuto diciotto anni e vive con la madre, ammattita e ormai bisognosa di cure, che però lui non può darle in quanto impegnato nel suo lavoro. E allora ecco comparire Myrna, un’adolescente che ha perso i genitori e che è alla ricerca di un tetto e di un lavoro. Inizia così una convivenza a tre, sempre vista con gli occhi del cecchino, che ci porta al finale seguendo la sua allucinata prospettiva di vita. Una vita che, essendo un prodotto artistico, è molto più vera di ogni altra vita, anche se pochi avranno la forza di guardarla negli occhi.

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