Estratto: Essere comunisti interiori

Brano tratto da:
Francesco Pecoraro
LO STRADONE
Edizioni Ponte alle Grazie, € 18,00

“Elio: Molti di quelli che ancora abitano qui sono diventati comunisti interiori. Si vergognano di ciò che pensano. Perché ciò che pensano, a parte un paio di imbarazzanti formazioni politiche, è completamente uscito dall’orizzonte del presente. Essere comunisti, oggi. Esserlo in un certo modo, implicito, interiore, sottinteso, sempre indicibile, inspiegabile. Essere comunisti senza compagni, senza Partito, senza Stato Guida, senza prospettive, senza più un’idea di società giusta, senza un’alternativa all’universale convincimento liberista. Esserlo non-ostante il fallimento storico dell’idea e della prassi comunista, non-ostante l’annegamento nel Gulag. Continuare ad esserlo non-ostanti Stalin e Pol Pot, non-ostanti Mao, Lin Piao e tutti quelli che sono venuti dopo, non-ostante Ceausescu, non-ostante Henver Hoxha e tutti gli altri tirannelli che sono emersi dal comunismo come schiuma inevitabile. Esserlo non-ostante la certezza conclamata che il comunismo produce sempre quella cosa lì, che finisce sempre nello stesso identico modo, nella miseria di massa, con la sconfitta di ogni principio di uguaglianza e l’irruzione del più orrendo sfrenato criminale dei capitalismi. Essere comunisti sapendo che ogni volontà di rifondare il comunismo, o è velleitaria o è in malafede, o è entrambe le cose. Sapendo che proporsi di rifondare significa consolarsi della sconfitta storica senza capirne davvero le cause. Essere comunisti senza credere più nella potenza di quelle analisi, pur restando attaccati a una lettura marxista del mondo, perché tutte le altre chiavi ci sembrano inefficaci, insipide come minestrine delle suore. Essere comunisti senza più dirlo a nessuno, provando anzi fastidio quando qualcuno ti dice ‘sono comunista’, frenando la voglia di contraddire fino all’insulto tutti quelli che usano la parola comunismo alla leggera, come se significasse ancora qualcosa di condivisibile e non con-sustanziato con la tragedia della Storia. Restare tacitamente comunisti anche quando il corpus di pensiero dal quale hai tratto le tue convinzioni sembra completamente obsoleto, oppure diminuito, banalizzato, disprezzato. Restare comunisti anche quando le generazioni dopo la tua non sanno più nulla del marxismo e quello che ti fa più strano è che, pur avendo disperatamente bisogno di una qualche chiave di lettura del mondo in cui vivono, se ne disinteressano lo stesso. Restare comunisti anche nell’incomprensione, nell’indifferenza di quelli venuti dopo, sapendo che nel mondo che verrà tu sei solo un esemplare a esaurimento, sapendo che, scomparsa la tua generazione, sarà finito il comunismo novecentesco, anche se difficilmente il bisogno di giustizia & eguaglianza potrà scomparire.”

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