Recensione: John D. MacDonald, Il termine della notte

John D. MacDonald
IL TERMINE DELLA NOTTE
Edizioni Mattioli 1885, pp. 280, € 16,00
Traduzione Nicola Manuppelli

Questo libro, mirabile capostipite del genere noir uscito nel lontano 1960, è uno dei primi e migliori esempi della capacità della letteratura di genere di esprimere concetti che la letteratura main stream non può nemmeno immaginare di toccare. A partire dalle parole di un secondino che partecipa all’esecuzione di quattro condannati a morte, John MacDonald, autore che riceve approvazioni entusiastiche di Stephan King e Kurt Vonnegut, ci racconta il percorso che conduce quattro persone ‘normali’ a compiere una serie di omicidi attraverso l’America prima di essere fermati dalla polizia.
La fine della vicenda è nota, il romanzo inizia con l’esecuzione dei colpevoli, e quindi non c’è alcun mistero da risolvere, differenza fondamentale rispetto ai gialli con l’avvocato o il poliziotto onesto. Il vero punto cruciale della storia è capire i motivi che spingono queste quattro persone a fare ciò che fanno. MacDonald è molto abile, intrecciando la voce dell’avvocato incaricato di difendere uno dei quattro condannati  alla voce dello stesso condannato, Kirby Stassen. La dialettica tra le due posizioni mostra come la visione della devianza, sostenuta dall’avvocato, sia in profondo disaccordo con la rappresentazione di se stessa che si dà la devianza. Kirby non si proclama innocente, sa bene che il suo peccato è inemendabile e cerca quindi di descrivere, mentre il giorno dell’esecuzione si avvicina, tutti i tasselli che l’hanno portato a fare ciò che ha fatto.
A questi due personaggi principali l’autore affianca in maniera magistrale le vicende delle vittime, mentre i tre assassini ‘comprimari’ restano quasi sullo sfondo. Questi tre sono già degli sbandati, irrecuperabili; il vero punto sta nel capire cosa abbia portato così fuori strada il giovane rampollo di una famiglia benestante. L’osservazione della dinamica dei fatti permette di capire infatti, ma la comprensione non è giustificazione. Si parte quindi dall’inevitabile finale, e la sedia elettrica non è un bello spettacolo, e si legge attendendo l’altrettanto inevitabile termine della notte.

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