Recensione: Paula Fox, Quello che rimane

Paula Fox
QUELLO CHE RIMANE
Edizioni Fazi, pp. 206, € 16,50
Traduzione Alessandro Cogolo

Cosa rimane, dopo aver letto questo libro, ci si potrebbe chiedere ed io rispondo che rimane un sacco di tristezza per il tempo buttato fuori dalla finestra, una velata patina di noia e la rinnovata domanda sul perché leggo libri che hanno la nota di copertina di Franzen, scrittore molto capace, molto colto ma del quale, come ho già detto e scritto, mi pare di cogliere una spiccata tendenza ad appassionarsi ai dettagli capziosi e alle vicende minime, come ha fatto in quello che fu definito uno dei migliori libri del ‘900, Le correzioni, in effetti uno dei più noiosi, sempre del ‘900, che prende evidentemente spunto da questo Quello che rimane che a noia non scherza affatto.
I protagonisti sono due, moglie (Sophie) e marito (Otto) che nella New York di fine anni ’60 ci raccontano in maniera indiretta, indiretta perché non ce le raccontano loro, c’è il narratore esterno, le loro stucchevoli vite che si svolgono nel nulla della media borghesia di quegli anni. Fanno da contorno, senza sapere rendere il piatto un po’ saporito, un ex collega dello studio di Otto, un amante perso e rimpianto da Sophie ed un gatto randagio che al’inizio del libro morde Sophie che per tutto il libro non fa altro che lamentarsi senza tirarsi insieme per andare dal dottore, tanto che io ho sperato ardentemente le succedesse qualcosa per movimentare un po’ la trama. E invece niente, un solo momento di brillantezza in mezzo al libro quando Sophie, senza spiegare il perché, va da una sua amica ed intrattiene con lei, che intrattiene l’ex marito in fuga da una nuova moglie giovane ed erotomane, una gradevole conversazione sulle differenze individuali e sulla capacità di percepirle ed accettarle. Un po’ pochino per leggerlo decine di volte, come pare abbia fatto Franzen, sarà questo il motivo per cui lui è uno scrittore famoso e noi dei semplici lettori.

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