Recensione: Paul Auster, 4 3 2 1

Paul Auster
4 3 2 1
Edizioni Einaudi, pp. 939, € 25,00
Traduzione Cristiana Mennella

Le dimensioni di questo libro, nel senso del numero delle pagine, potrebbero spaventare ma anche no come pure il nome, Paul Auster, che evoca un po’ l’austerità, una severità ebraica quasi metafisica, è tale da incutere rispetto; ma se, anzi, non vi fate spaventare ma vi buttate a pesce, come si dice, e lo leggete tutto d’un fiato questo romanzo ne resterete estremamente soddisfatti, io almeno lo sono stato. Diciamo che il libro ricorda un po’, come idea, il romanzo di formazione che è un classico dalla fine dell’800. Ma c’è una differenza fondamentale, perché la formazione nel romanzo di formazione segue sempre uno sviluppo lineare, mentre Auster assume uno sviluppo multilineare, molto più in linea con i nostri tempi, oltre che, suppongo, essere molto più aderente alla sua, di formazione, che è una formazione dei nostri tempi, non dei tempi, poniamo, di James Joyce. Ma i motivi che spingono uno scrittore a scrivere un romanzo di formazione quando si è già formato, oggi ha 71 anni, trascendono lo scopo di illustrare un processo che si suppone universale, entrano in gioco anche motivazioni di tipo letterario e stilistico, detta tutta Auster ci tiene a farci vedere quant’è bravo. Qualunque sia il motivo per cui Auster ha voluto scrivere questo libro, Auster crea un personaggio, Ferguson, nipote di un ebreo (Reznikof) fuggito da Minsk e che, una volta americanizzato il nome, da luogo ad una stirpe, si fa per dire, perché nel concetto di ebreo io vedo racchiuso il concetto di stirpe. Il nipote di questa stirpe, Ferguson figlio di Rose, cresce a inizia a fare delle cose – uso cose non perché ho vent’anni e ho poco lessico ma intenzionalmente per dare il senso della non univocità delle azioni di Ferguson – e mentre leggete di queste cose che fa vi accorgete che qualcosa non torna nella trama, le azioni della pagina contraddicono le azioni delle pagine precedenti, o meglio le smentiscono, si accavallano e vi rendono smarriti, ma occorre tener duro, il libro ha più di 900 pagine e se vi lasciate buttare giù così presto buonanotte, e allora vado avanti e piano piano capisco a cosa si riferisce lo strano titolo. Ferguson in questo 900 e passa pagine compie i vari percorsi che il giovane artista Auster, perché si capisce che dietro c’è lo scrittore, visto che troviamo situazioni già descritte in precedenti romanzi di Auster, avrebbe potuto compiere e ha forse effettivamente compiuto, vari percorsi dicevo tutti descritti con una minuziosità maniacale, maniacale ma non fastidiosa. E’ questo uno di quei rari libri in cui la bravura dello scrittore fa passare sopra ad una certa povertà di contenuto – chissene di quello che ti è successo quando eri giovane Auster, a spasso tra Parigi e New York – e questa è un’altra grossa differenza rispetto ai romanzi di formazione classici, nei quali il contenuto aveva una parte preponderante, universale appunto, mentre Auster scrive in un triste tempo in cui del contenuto sembra interessare poco a chiunque e quindi viva la forma, sennonché questo viva la forma ammazza il lettore e allora si cerca di metterci un po’ di contenuto c’è chi riesce e chi no e Auster c’è riuscito in buona parte. E quindi concludendo perché la recensione si sta facendo lunghetta del resto il romanzo è lunghissimo, se vi hanno regalato questo libro a Natale spero non abbiate fatto la faccia di chi ha ricevuto un biglietto per l’inferno ma abbiate ringraziato con un sorriso e messo via, nell’attesa di un buon periodo per calarvi interamente nei mondi umani del giovane Ferguson, nel ritratto di Paul Auster da giovane.

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