Recensione: Cristopher Lasch, Il paradiso in terra, Neri Pozza

Cristopher Lasch, Il paradiso in terra

Neri Pozza, pp. 604, euro 22

Traduzione Carlo Oliva

Christopher Lasch, studioso attivo nella seconda metà del XX secolo, cerca con questo saggio di portare un po’ di chiarezza sui motivi per cui il progresso, l’ideale di umanità che avrebbe guidato la storia negli ultimi due secoli, non ha raggiunto, nella percezione comune, i risultati sperati. Le ragioni di questo parziale insuccesso sono connesse alla duplicità insita nell’ideale di progresso. Il progresso per avere luogo deve essere imposto, dato che le comunità umane sono per loro natura conservatrici; ogni imposizione delle leggi del progresso tende a scardinare le regole della comunità, sostituendole con regole amministrative, uguali, in teoria, per tutti; così facendo il progresso distrugge la comunità che è, idealmente, la destinataria delle nuove norme di vita. Il progresso, in definitiva, toglie la base su cui va posto ciò che promette.

“Il suo fascino originale (dell’idea di progresso)e la sua duratura credibilità derivavano dal più specifico assunto che gli appetiti insaziabili, in precedenza condannati come fonte di instabilità sociale e di infelicità personale, potessero trainare la macchina economica – come la curiosità insaziabile dell’uomo trainava il progresso scientifico – e garantire così l’espansione infinita delle forze produttive” (p. 49). L’inevitabile abbinamento tra sviluppo e consumo non è visto bene da tutti i teorici degli ultimi due secoli. Il libro di Lasch presenta in maniera esauriente le varie figure che hanno criticato l’idea di progresso; non tutti costoro possono essere fatti rientrare nelle cosiddette forze conservatrici. La contraddittorietà insita nell’applicazione dell’ideale non viene sempre percepita. Da questo fatto deriva che molti pensatori di un certo interesse sono stati tacciati del cosiddetto populismo, soprattutto da parte dei pensatori allineati con il pensiero progressista. Lasch dedica interessanti pagine anche all’esame del concetto di populismo e a come esso sia passato dall’indicare una visione legata alle esigenze concrete della gente all’indicarne una legata alla negazione delle esigenze della gente estranea al gruppo di appartenenza.

La società proposta dal liberalismo è una società retta da norme esplicite. L’aumento di norme esplicite atte a reggere la società indebolisce la capacità della società di reggersi da sola, di produrre norme sensate in base all’emergenza di fatti sociali nuovi. “L’attrattiva dell’ideologia progressista, almeno nella sua versione liberale – il rifiuto, cioè, di una visione eroica della vita – risulta così essere la sua più grande debolezza. (…) Il liberalismo non è mai stato utopistico, a meno che non sia un ideale utopistico la stessa democratizzazione del consumo” (pp. 78 – 79). Tutti i critici del progresso sono in larga parte utopistici e quindi non integrabile nei partiti che propugnano il progresso sempre e comunque. L’unica utopia che difende il progressismo è un consumo illimitato per tutti. Ovviamente, per avere accesso ad un consumo illimitato devi avere accesso ad un’illimitata riserva di denaro. Questa condizione viene sempre taciuta dai liberali (i liberali in America non hanno niente in comune con i liberali italiani) e rende i loro discorsi incoerenti. Mano a mano che l’informazione si è andata imponendo in ogni strato sociale, questa contraddittorietà è diventata palese. L’acquisizione di posizione populiste da parte di movimenti abbastanza esplicitamente schierati a destra si deve proprio a questo. La gente comune, quella che vive nel particolare e poco interesse dedica alle questioni generali, non può accettare che la sua teorica libertà di consumo illimitato venga limitata dai diritti concessi a persone che non appartengono alla propria cerchia identitaria

Il progresso ad ogni costo ha anche una spiacevole conseguenza: toglie la capacità critica alle persone. Toglie agli individui la capacità di pensare, di porsi da lato umano delle cose piuttosto che da quello tecnologico. Non vi è più una speranza in un futuro da costruire perché il futuro lo è già, è il destino del progresso. “Chi nutre delle speranze è sempre preparato al peggio. La sua fiducia nella vita non varrebbe molto se non fosse sopravvissuta a delusioni passate, mentre la consapevolezza che il futuro ha in serbo altre delusioni dimostra il continuo bisogno di speranza. Coloro i quali credono nel progresso, invece, pur amando considerarsi il partito della speranza, ne hanno poco bisogno, perché hanno la storia dalla loro. Ma l’assenza di speranza li rende incapaci di agire in modo intelligente. L’imprevidenza, la fede cieca che in qualche modo le cose andranno per il meglio è un ben misero sostitutivo della disposizione ad andare fino in fondo anche quando le cose non vanno per il meglio, pp. (82-83). Non si confondano le soluzioni tecniche ai disastri umani e ambientali degli ultimi decenni come espressioni di speranza. Esse sono semplicemente una forma raffinata con cui la tecnologia afferma il proprio bisogno di continuare ad essere. Per chi crede nel progresso non ci sono vie alternative.

Il progressismo è legato a filo doppio al marxismo, il grande movimento filosofico e sociale che ha cercato di rivoluzionare la società. Il marxismo ha però fallito nella totalità dei tentativi di applicarlo. Questo fallimento è dovuto alla contraddittorietà del progressismo di cui il marxismo è una filiazione: “L’elemento più valido e persuasivo del marxismo, per lui (Max Weber), resta l’idea di autorealizzazione come valore centrale della società. Ma questo è un altro modi di dire che il marxismo deve molto del proprio fascino, almeno in occidente, alla identificazione con i valori del capitalismo stesso che, a quanto affermano i suoi teorici, si potranno realizzare in forma piena soltanto dopo la rivoluzione socialista” (pp. 162-163). L’autorealizzazione è un concetto molto pericoloso. Ove si la si cerca come scopo della vita è chiaro che il discorso da sociale diventa individuale. L’autorealizzazione è un concetto che sposa appieno il principio di sviluppo illimitato del capitalismo delle origini – quello difeso da Smith per intenderci, quello che sosteneva che “il commercio avrebbe distrutto il particolarismo e promosso una prospettiva cosmopolita” (p. 131) – ed in quanto tale elide le possibilità di uno sviluppo equilibrato e benigno per tutti. Il progressismo non ha la capacità di dire che l’autorealizzazione è intrinsecamente casuale, dovuta a fattori contingenti ed in quanto tale viola il presupposto del paradiso in terra. Un punto nodale del passaggio da una visione condivisa dei destini dell’umanità ad una visione personale è, secondo Lasch, la pubblicazione da parte del gruppo di Adorno degli studi sulla personalità autoritaria: “Adorno, con il suo monumentale studio La personalità autoritaria  contribuì a spostare il dibattito pubblico dal campo della politica a quello psicosociale e a sostituire le categorie etiche e filosofiche con quelle mediche e terapeutiche” (p. 507). La medicalizzazione della società intera è frutto del fraintendimento, e dei limiti, del concetto di progresso. Chi non si adegua ai principi del progressismo è vittima di un residuo evolutivo, la personalità autoritaria, che non è in grado di cogliere gli aspetti positivi del cosmopolitismo progressista. Va quindi stigmatizzato e, ove possibile, ricondotto alla ragione

Spostare il dibattito dal piano astratto a quello concreto ha però l’effetto, indesiderato, di lasciare ancor più scoperte le contraddizioni del progressismo: “Le prove sempre più evidenti dell’esistenza di un autoritarismo operaio, secondo Lipset, ponevano un dilemma tragico a quegli intellettuali della sinistra democratica che avevano creduto che il proletariato fosse necessariamente una forza di libertà, eguaglianza razziale e progresso sociale” (p. 517). La classe sociale del proletariato è andata evidentemente scomparendo negli anni, lasciando il posto a nuove classi sociali. Quella che si identifica con gli ideali progressisti è sempre più una classe medio alta, che dispone di conoscenze e competenze – e possibilità di accedere a quel consumo illimitato di cui dicevo – che cerca ancora di fungere da guida ma che, per ovvi motivi, larga parte dell’elettorato non accetta. Contro questa nuova classe, contro il suo globalismo e contro la sua disponibilità a concedere diritti a tutti, si schiera la nuova destra: “Il concetto di nuova classe permetteva alla destra di far propria una classificazione tipica della tradizione populista – la distinzione tra produttori e parassiti e di servirsene per sostenere un programma politico e sociale opposto a tutto quanto il populismo rappresenta da sempre” (p. 574).

Molti dei critici del progresso di cui ci parla Lasch in questo suo corposo libro sono schierabili al di fuori della banale opposizione destra/sinistra. Sono studiosi che hanno una visione che va oltre i propri interessi, che cercano di parlare dal punto di vista dell’uomo, cadendo in contraddizione dal punto di vista degli intellettuali che, invece, sistematica espressione di un pensiero preformato, difendono l’esistente come il migliore possibile; e comunque in marcia verso un futuro ancora più entusiasmante.

Un vero pensiero di sinistra si basa su di un concetto forse limitato, ma realizzabile. Quello della proprietà universale contrapposto al bene come diritto individuale. Un punto di vista etico, e quindi eroico per quanto è difficile difendere l’etica, contrapposto ad uno calcolatore, e quindi legalista. Si tratta in apparenza di principi contraddittori; il punto sta proprio in questo, cercare di contemperare le due posizioni, cercando delle regole giuste che però non facciano dimenticare la necessità di affrontare la vita anche con un piglio eroico: “L’ideale della proprietà universale esprimeva un sistema di aspettative più modesto di quello del consumo universale, dell’accesso universale a una disponibilità illimitata di beni. Allo stesso tempo però faceva propria una definizione più impegnata e moralmente più nobile della vita” (p. 599).

Il paradiso in terra è solo per gli eroi?

 

 

 

 

 

 

 

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