Recensione: Santiago Gamboa, Una casa a Bogotá, e/o

Santiago Gamboa, Una casa a Bogotá
E/O, pp. 204, euro 17
Traduzione Raul Schenardi

“Guardare la vita dal balcone della casa di fronte. Forse è a questo che servono i libri e l’arte.”
Se fossimo veramente nel migliore dei mondi possibili, basterebbe questa frase, tratta dalle ultime pagine del gradevolissimo libro di Santiago Gamboa, a spingere frotte di curiosi in libreria ala ricerca del libro perduto. Questo breve romanzo parla infatti di tante cose ma soprattutto della funzione che l’arte svolge nella vita delle persone: un libro che serve a capire. Un’arte quindi non solo contemplativa, come parrebbe dalla frase riportata, e come si capisce leggendo il libro, ma un’arte che permette di accedere agli strumenti per interpretare una realtà sempre più sfuggente. Una realtà che va quindi vissuta e poi interpretata; non è giusto limitarsi a uno solo dei due versanti della vita.
Il protagonista della vicenda è uno scrittore che, per uno degli accidenti di cui la vita è piena, entra in possesso di una grossa somma di denaro con cui può comprare la casa che ha sognato da quand’era bambino: una casa a Bogotá. In questa casa si trasferisce insieme all’anziana zia, con cui ha sempre vissuto dall’età di sei anni, quando i suoi genitori morirono nel rogo della casa dove abitavano. E di questa casa, riferendosi a quel capolavoro della letteratura che è La vita istruzioni per l’uso, ci racconta tutte le stanze; ne deriva un libro poetico.
Ogni stanza porta con sé ricordi e persone, situazioni vissute e libri letti, le opinioni della zia e le donne del nipote. E tutto ci viene presentato con uno scrittura essenziale, mai volgare pur nella narrazione della volgarità che è la vita odierna.
Per tornare al finale, qual è il senso di questo sguardo dal balcone della casa di fronte?
La letteratura ci guarda? e noi, con le nostre letture, siamo responsabili nei suoi confronti?
Grandi domande che trovano una risposta iniziale in questa piccola casa a Bogotá.

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