Recensione: Zygmunt Bauman, Vite di scarto, Laterza

Zygmunt Bauman, Vite di scarto

Laterza, pp. 166, euro 15

traduzione Marina Astrologo

Come ogni anno, Zygmunt Bauman ci sorprende per la sua capacità di esporre con chiarezza le condizioni esistenziali con cui si deve confrontare una fetta sempre crescente di esseri umani.

Il tema portante è, come sempre, quello della liquidità, della mancanza di un substrato solido al quale ancorarsi per costruirsi una vita.

Tutto inizia con l’ingresso dell’umanità nella modernità. A questo punto l’uomo crede di potere costruire un ordine nelle cose da imporre all’ordine che la natura si era autonomamente data in millenni di evoluzione. Il nuovo ordine, da non confondere con il novum organon di Bacone, si prospetta come onnicomprensivo. Non riesce a vedere però che, mentre si produce ordine, si contribuisce alla creazione di disordine. Questo perché gli scarti, umani, della produzione vengono dirottati in zone non ancora occupate. Adesso però, siamo giunti al limite. Non vi è più spazio commerciale nel quale porre gli scarti. Gli scarti, i non occupati, quelli che non stanno al gioco, gli immigrati dai paesi poveri, vanno semplicemente tenuti fuori.

Lo stato in questo frangente ha cambiato la sua fisionomia. Da stato sociale, quale è stato per tutto il novecento, è passato ad essere stato guardiano, uno stato cioè che garantisce i suoi cittadini dagli assalti di quelli che stanno fuori. Non importa se questi assalti sono più che altro immaginari. Gli stessi governanti tendono ad incentivare queste paure dei cittadini con proclami di imminenti minacce. Basti pensare alla reazione degli Stati Uniti alla tragedia dell’undici Settembre. Non una presa di coscienza delle ragioni che hanno portato a questo punto, ma un costante diffondere paura contro ipotetiche e generiche minacce di aggressione da parte degli islamici. Questa è la nuova e sola funzione che lo stato può reclamare, la sola utile ai padroni del vapore, e la sola quindi che viene esercitata con tenacia.

Ma questa paura indotta viene generalizzata ed i cittadini si trovano incapaci di difendersi da queste modalità di gestione della vita sociale, assolutamente sconosciute fino a pochi decenni fa. La “mancanza di sbocchi esterni” su cui scaricare i rifiuti pone ciascuno di noi in continuo contatto con la possibilità di diventare esso stesso un rifiuto. La natura prossimale del confine ci riempie di paura.

Noi viviamo quindi all’interno delle esili mura che ci separano dagli scarti, controllati da un Grande Fratello 1, ispirato ad Huxley, che verifica che il nostro comportamento si adegui alla media richiesta. Nel contempo, un Grande Fratello 2, chiaramente orwelliano, mantiene gli scarti all’esterno (prigioni, campi di permanenza temporanea, centri di raccolta profughi and so on).

Abbiamo la fortuna di vivere in contemporanea all’interno di due grandi opere della letteratura. Ci muoviamo con cautela, perché le abbiamo lette tutti e tutti sappiamo la fine che hanno fatto i protagonisti.

 

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