Recensione: Vanni Codeluppi, Mi metto in vetrina, Mimesis

Vanni Codeluppi, Mi metto in vetrina
Mimesis, pp. 109, euro 10

Vanni Codeluppi, sociologo noto per il concetto di vetrinizzazione, esamina in maniera dettagliata le varie pratiche che, con la presa di possesso attuata dalle modalità digitali di gestione delle nostre esistenze, hanno ormai colonizzato il nostro tempo al di fuori del lavoro. Sono tutte pratiche che, ad un occhio critico appaiono insensate e futili; il fatto però che siano praticate da milioni, se non miliardi di persone, le rende tutt’altro che trascurabili. Analizzandole sarà possibile avanzare di un passo per la comprensione della nostra società.
Partiamo allora dai Selfie. Il Selfie prende il posto dell’autoscatto di analogica memoria, e quindi attesta un legame con la pratica fotografica. Dagli studi che cita Codeluppi, la fotografia parrebbe avere trasformato l’idea dell’uomo rispetto alla caducità della vita. Attraverso la foto, anche l’uomo comune – prima l’immortalarsi in ritratti era possibilità di pochi – ferma un istante della propria esperienza e lo eternizza. Ma la foto aveva un difetto, perché fissava la realtà così com’era. Era ovviamente possibile un lavoro di preparazione che la rendesse più utile a fissare un passato positivo, ma era comunque limitatamente modificabile. La fotografia digitale è invece modellabile all’infinito per ottenere l’immagine di sé che si vorrebbe poter presentare al mondo. E si arriva così a Facebook, il luogo dove, stando ai dati riportati nel libro, più di 25 milioni di italiani risultano utenti attivi. Su Facebook il risultato ottenuto con i selfie – fornire un’immagine di sé leggera e spensierata – ottiene un effetto sugli altri.
La propria pagina Facebook è lo schermo che si utilizza per presentarsi al mondo. E’, appunto, uno schermo, una superficie; questo tipo di presentazione va per la maggiore perché non c’è più il tempo di scavare oltre la superficie. Questo è motivato dalla sovrabbondanza di immagine prodotte; si stima che su Facebook vengano caricate 10 milioni di immagini l’ora; in tale confusione di dati è normale che la singola immagine perda di rilevanza: “Si consideri che su Facebook ogni ora vengono caricati circa 10 milioni di immagini, vale a dire un’enorme quantità che tende a minimizzare l’importanza attribuita dalle persone alla singola fotografia. (…) con il risultato che (le persone) assumono un carattere decisamente immateriale.” (p. 26). La perdita di sicurezza dovuta al tramonto della comunità e all’affermarsi della globalità non viene rimpiazzata dalla comunicazione a tutti i costi. Anzi, essa si intreccia con la richiesta della trasparenza generando ulteriore confusione: “La trasparenza è strettamente connessa allo sviluppo della società moderna. Essa, infatti, è stata fortemente intensificata da quel fondamentale passaggio che è avvenuto nelle società occidentali dalle condizioni di vita proprie della comunità a quella della realtà urbana. Dall’esistenza cioè in un ambiente sociale nel quale tutti si conoscevano e si fidavano reciprocamente a una nella quale l’altro è invece un perfetto sconosciuto e pertanto, per potersi fidare di lui, è necessario renderlo trasparente.” (p. 32)
Se la trasparenza dipende dai dati volontariamente forniti, la trasparenza si dimostra un boomerang perché nessuno si fida più di nessuno. La comunità virtuale rischia di/è riuscita a, trasformare la società in un luogo di estranei che non si fidano a lungo termine di nessuno.
Questa trasparenza fittizia ha una seria di altre conseguenze impreviste e sgradevoli. La rinuncia alla privacy attraverso i media, motivata dal bisogno di crearsi un’identità, provoca una retrocessione del livello di civiltà raggiunto attraverso secoli, i secoli nei quali la privacy è stata un luogo strappato dall’onnivora comunità. Nel medioevo era la comunità a regolare tutto e uno dei meriti dell’illuminismo è stato anche quello di creare uno spazio privato in cui il singolo potesse riflettere. Ora viene negata pubblicamente rilevanza a questo spazio. Ogni argomentazione deve essere trasparente, verificabile da tutti. Va da sé che l’argomentazione cessa di essere razionale, logica, divenendo visiva, direttamente percepibile. Va ancora da sè che un’argomentazione che si basi su elementi solo visibili presenta diverse lacune nei confronti della sua possibilità di incidere sulla realtà ;. Il ragionamento che si sviluppa sui social si limita, deve limitarsi, a rappresentare la realtà senza poterla modificare. In questo senso i desideri delle grandi multinazionali dell’informazione sono pianamente soddisfatti da questo stato di cose: completa trasparenza da parte degli utenti, completa opacità da parte loro circa gli usi dei dati che carpiscono all’utenza stessa.
A questo punto si passa all’ultimo stadio dell’analisi di Codeluppi; la politica. La politica, in quanto elemento della socialità, ha subito gli stessi meccanismi che hanno agito sui singoli, parti irrinunciabili dell’organismo sociale. Il passaggio dall’argomentazione logica e analitica alla presa di posizione irriflessa fa riferimento al fenomeno della tribalizzazione: “Secondo McLuhan i media che si sono imposti nel corso del ‘900, a cominciare dalla televisione, hanno determinato una progressiva tribalizzazione delle società più avanzate, perché hanno sostituito alla logica e alle argomentazioni razionali di tipo verbale la velocità e la forza del linguaggio visivo” (pp. 86-87). Si passa quindi da una politica intesa come organizzazione dal basso di istanze sociali ad una politica basata sul ruolo carismatico del leader; da Mussolini a Renzi.
In questo passaggio però la politica rischia di perdere il proprio ruolo all’interno della società. Per essere carismatico il leader si pone per molti aspetti sullo stesso piano dei suoi ‘sudditi’, giocando così la carta della seduzione; in questo modo però rischia di essere scalzato da qualcuno di più seducente e non, come dovrebbe essere, da qualcuno di più capace. La politica è uno spettacolo destinato a scomparire per la sua stessa natura spettacolare.
E alla fine, sembra dirci Codeluppi, ci ritroveremo come tanti manichini messi in vetrina; e a governarci saranno i desideri delle multinazionali.
Speriamo che il capitalismo sia buono con noi!

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