Recensione: Alain Badiou, Il nostro male viene da più lontano, Einaudi.

Alain Badiou, Il nostro male viene da più lontano
Einaudi, pp. 68, euro 12
Traduzione Stefania Ricciardi

Questo libro nasce come risposta ragionata all’attentato compiuto dai terroristi islamici a Parigi la notte del 13 novembre 2015.

Il filosofo francese Alain Badiou si esprime con forza per chiarire i motivi reali degli attentati che, a partire dalle torri gemelle, hanno dato il via a quella che è stata definita da molte parti come una guerra tra religioni. Iniziamo subito con il dire che per Badiou le cose stanno in tutt’altro modo: dietro la religione si agitano motivi sociali ed economici. Il capitalismo globalizzato è andato erodendo le organizzazioni sociali preesistenti. Senza un’organizzazione sociale i territori si trovano ad essere terreno di conquista di bande armate. Dopo un secolo in cui l’occidente si è imposto il compito di ‘civilizzare’ il resto del mondo, l’occidente stesso ha tirato i remi in barca, rendendosi conto che tale compito era difficilmente realizzabile, perlomeno lo era se si volevano mantenere i differenti standard di vita tra occidente e resto del mondo. Piuttosto che presidiare le varie zone con milizie proprie e propri funzionari, meglio lasciare che ciascuno stato di autodistruggesse; dalle ceneri degli stati sorgono milizie locali, con cui è sempre possibile stringere patti economici. “Penso che piano piano si vada definendo l’idea seguente. Anziché assumersi di costituire degli stati sotto la tutela della metropoli (…) si può semplicemente distruggere gli stati” (p. 17). Questo meccanismo Badiou lo definisce Zonizzazione.

Il primo effetto di tutto ciò che ho appena ricordato è uno sviluppo iniquo senza precedenti. Questo sviluppo ha permesso la ricreazione di una minoranza di ricchissimi opposta ad una maggioranza di poverissimi. Tra queste due classi vegeta una classi più piccola, ma a livello globale comunque numerosa, di gente che ha qualcosa, e che non vuole essere risucchiata nella sfera di quelli che non hanno niente. E’ il 14% del totale della popolazione, che ha voce democratica e che si lascia facilmente influenzare dagli spauracchi agitati dai portavoce della struttura esistente del potere economico. La possibilità di essere risucchiati nella fascia dei non abbienti è intrinseca all’organizzazione del capitalismo, che per sua natura rifiuta la valorizzazione completa della forza lavoro disponibile. Se si guarda il mappamondo, si nota come la zonizzazione corrisponde alla maggiore disponibilità di forza lavoro inoccupata. Quindi la disponibilità di forza lavoro libera favorisce l’anarchia, intesa come lotta di tutti contro tutti. “Prima di tutto, è nella natura delle bande armate occupare un terreno devastato di tipo capitalista per instaurarvi un gangsterismo redditizio che in seguito, per compiacere i giovani in rivolta, potrà colorarsi delle tinte spirituali più varie” (p. 34).

Da questo stato oggettivo consegue il formarsi di tre soggettività specifiche. Una prima è quella pienamente occidentale, rappresentata dal 14% che può vivere all’occidentale, pur con la paura della perdita. C’è poi la soggettività del desiderio d’occidente, rappresentata da tutti quello che vorrebbero vivere all’occidentale senza averne i mezzi; infine, c’è una soggettività nichilista, che si sviluppa in quanti rifiutano il desiderio d’occidente che alberga in loro e per reazione propongono la distruzione di tutto, anche della propria vita, come mezzo per ritornare ad una mitica situazione di assenza di privazione. E’ su questa soggettività che le bande armate, che occupano le varie zone anarchiche create dalla distruzione sociale ad opera del capitalismo, fanno leva per terrorizzare l’occidente.

Di queste tre soggettività, sia la seconda sia quella nichilista si formano per reazione alla mancanza d’occidente, alla mancata realizzazione della promessa di una vita felice che è il sogno dell’occidente. Ma quella nichilista rifiuta persino un’appartenenza abborracciata all’occidente. Non potendo appartenere all’occidente, per via dei processi di esclusione dal mercato del lavoro posti in atto dal capitalismo globalizzato, il giovane immigrato di seconda o terza generazione approda all’islam. L’islamizzazione è quindi un processo secondario, non primario. Come ogni forma di fascismo, essa garantisce ai suoi adepti privilegi sul resto della popolazione. Questa formazione reattiva è interna al capitalismo.

Gli attentati delle bande di Daesh contro obiettivi occidentali rappresentano atti di guerra fascista i cui attori mettono in atto una assoluta svalutazione della vita, propria e altrui. Un simile atteggiamento comunque ha caratterizzato i comportamenti degli stati occidentali verso i paesi del terzo mondo che sono stati zonizzati per scopi economici. La reazione delle popolazioni di quei luoghi era largamente prevedibile, quindi. Ciò non la giustifica, assolutamente. Ogni attentato di questi movimenti – che Badiou definisce regressivi e non estremisti – si caratterizza per un fascismo intrinseco che deriva dall’assoluto disprezzo per la vita, propria e altrui. Il fascismo è appunto un insieme di idee in cui la morte per un ideale acquista maggior valore della vita in sé; questa differenza permette anche di mantenere distinte le lotte di liberazione antifasciste da questo tipo di attentati, che nulla hanno a che vedere con la liberazione dei popoli che vorrebbero rappresentare. Non è altro che la riproposizione del modello della globalizzazione capitalista a partire da situazioni in cui tale modello ha mostrato tutte le proprie limitazioni.

La mancanza di una prospettiva politica indipendente dal capitalismo è responsabile della nascita di questi gruppi di giovani fascisti. La proposta di Badiou, un po’ utopica, è di creare al di fuori del capitalismo una politica – comunista – che garantisca un futuro ai giovani, unico mezzo per sconfiggere questo male che viene da tanto lontano.

Tanto lontano da essere legato in maniera indissolubile al destino dell’uomo?

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