Recensione: Murakami Haruki, L’incolore Tazuki Tzukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, Einaudi

Recensione
Murakami Haruki, L’incolore Tazuki Tzukuru e i suoi anni di pellegrinaggio
Einaudi, pp. 260, euro 13.00
Traduzione Antonietta Pastore

A saperli leggere i retrocopertina offrono interessanti spunti sui libri che ci apprestiamo a leggere. Se avessi visto cosa ci dice il ragguardevole quotidiano giapponese Asahi Shiimbun a proposito del libro dell’acclamato scrittore patrio – un punto di svolta nel percorso di Murakami – mi sarei fatto due domande in più e avrei risparmiato alcune ore di lettura; ché, essendo un libro di svolta, non segue ovviamente ancora una precisa direzione ed ha, come conseguenza forse indesiderata, quella di lasciare il lettore un po’ deluso.
Non possono non esserci delle remore ad avanzare delle critiche ad un libro scritto da un autore di una cultura talmente lontana dall’occidentale da lasciare il sospetto che forse qualcosa abbia voluto dirci; ma tutto il travaglio che coglie l’incolore protagonista della vicenda nasce da un motivo talmente risibile per la nostra cultura che si fatica a seguirne le conseguenze. Tazuki era stato estromesso da un gruppo di cinque amici cui era appartenuto dai quindici ai vent’anni e non ne aveva mai capito ne indagate le cause; ora, su spinta di una donna, Sara, di cui si sta innamorando, va alla ricerca di tali cause sconosciute. Frattanto ci viene raccontata un’altra amicizia, questa di poco successiva all’abbandono da parte dei quattro del paese d’origine; queste due storie s’intrecciano fino al triste finale.
E’ sicuramente tutto molto bello, scritto molto bene, molto evocativo sì, ma la storia? Se partiamo dal presupposto che in un romanzo il ruolo centrale lo svolge la trama, a sua volta rivelatrice di verità nascoste, il pellegrinaggio di Tazuki appare troppo semplice, troppo interiore per avere una vera presa sul lettore.
Bastava il titolo ad avvisarci.

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