Recensione: Giorgio Mancorda, Il cargo giapponese, Voland

Recenione:
Giorgio Mancorda, Il cargo giapponese

Voland, pp. 161, euro 14

Giorgio Manacorda è, prima che scrittore di romanzi, poeta e studioso germanista. In questo insolito giallo fa confluire queste sue passioni con un risultato sicuramente originale.
Al porto di Cagliari va a sbattere un cargo. Il natante risulta vuoto. Il questore di Cagliari, Gavino, è un vecchio amico del commissario Sperandio, strano poliziotto-poeta relegato, dopo un inizio carriera promettente e Roma, nell’entroterra sardo. Gavino chiama Sperandio chiedendogli un aiuto informale per svelare il mistero nascosto in questa nave.
Sperandio è una persona molto particolare. Timido e ritroso, accompagnato da Scotch, il fido labrador, inizia ad indagare lasciandosi guidare dalle associazioni di idee che governano la sua scrittura di poeta. In città incontra anche Francesca, una vecchia, e avvenente, amica che insegna all’università. Dopodiché, iniziano a morire i giapponesi.

Le molte morti, spesso atroci, che costellano lo svolgimento del romanzo, hanno a che vedere con i motivi della presenza nelle acque cagliaritane di quello strano cargo. Sperandio, sfruttando il potere evocativo delle parole, e grazie ad una poesia in tedesco trovata tra le carte del defunto fratello di Francesca, riuscirà alla fine a capire chi sono i mandanti e i colpevoli.
Ma questo non è un giallo normale, e suo scopo non è ristabilire giustizia ed equità. Sperandio e Francesca decidono, dopo aver svelato il mistero, di vivere fino in fondo il loro amore e salgono con le loro speranze sul cargo, per l’ultimo viaggio di questa nave squilibrata, misteriosa e senza guida.
Un poeta e una metafora.

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