Recensione: Sebastiano Vassalli, Terre selvagge, Rizzoli

RECENSIONE:
SABASTIANO VASSALLI, TERRE SELVAGGE
Rizzoli, pp. 297, euro 18

Sebastiano Vassalli torna con questo libro a raccontarci la storia. In particolare riprende un episodio poco noto della storia romana, un secolo prima dell’anno zero della cristianità, la tentata invasione da parte delle popolazioni barbariche del suolo della repubblica di Roma. In quella data la popolazione dei Cimbri passò il confine alpino insieme ai Teutoni e agli Ambroni e, dopo una prima vittoria contro le legioni romane, stette ad attendere il ricongiungimento con gli alleati per lo scontro finale con le milizie del console Caio Mario. La terra dove si svolse questo sconto coincide grosso modo con l’attuale Piemonte, con una zona detta oggi campi raudii. Si trattò di uno scontro sanguinoso, deciso dalle capacità organizzative del console e dei suoi soldati. Tutto questo ci viene raccontato nei dettagli intrecciandolo abilmente con la vicenda umana di un uomo che vive in quella zona ed osserva insieme alla madre la fuga dei concittadini spaventati dall’arrivo dei romani. Costui è Tasgezio il fabbro, la cui vita molto semplice si svolge nel pieno rispetto delle leggi naturali implicite che il suo popolo osserva da millenni e che vedrà infrante dalla vittoria romana.
La storia è molto lineare; trattando di fatti noti non c’è da aspettarsi il colpo di scena, ciò che risalta sono i personaggi, le loro motivazioni, la loro coerenza/incoerenza e ciò che la storia ci ha rimandato di loro. Vassalli mette a frutto tutto il suo mestiere, la sua abilità di narratore, per farci giungere al termine quasi in attesa di una rivelazione; che alla fine c’è, per essere precisi, ma non è certo quella che garantisce il colpo di scena ad un libro da classifica. Vassalli mette in luce il fatto, evidente ma raramente oggetto di riflessione, che la letteratura fa fatica a parlare del presente. Parlare del presente è rischioso perché non c’è la giusta prospettiva. Il passato invece, essendo ad una giusta distanza, permette di vedere le azioni degli uomini per quelle che sono, una ripetizione inevitabile di motivazioni sempre uguali (Gli uomini, gira e rigira, fanno sempre le stesse cose, p. 295). L’eterno ritorno dell’identico di cui parlava Nietzsche, che solo l’uomo nuovo potrà sconfiggere accettandolo.
Accettando di vivere nelle terre selvagge.

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