Recensione: Umberto Eco, Numero Zero, Bompiani

Umberto Eco, Numero Zero
Bompiani, pp. 218, euro 17

Occorre mantenere pessimismo della ragione unito all’ottimismo della volontà. Questa è la lezione, se di lezione si vuol parlare, che possiamo ricavare dalla lettura dell’ultimo romanzo di Umberto Eco. Come il Candido di Voltaire, il non più giovane protagonista della vicenda, il dottor Colonna giunge a questa conclusione dopo due mesi di lavoro in un progetto editoriale – il Domani – ordito allo scopo di permettere al supposto finanziatore del progetto – il commendator Vimercati – di entrare nei salotti buoni della finanza italiana; e, dato che siamo in Italia e tutti hanno qualche magagna da nascondere, il giornale in questione deve servire da arma ricattatoria. Uno dei sei scalcinatissimi redattori chiamati alla bisogna, Braggadocio, come gli altri inconsapevole della natura pretestuosa del giornale, parte però alla carica a testa bassa in un’inchiesta che svela le trame occulte che hanno percorso il paese dall’esecuzione di Mussolini fino al tentato golpe Borghese e oltre. Umberto Eco, dai suoi venerabili e rispettabilissimi 82 anni, si permette di narrare le vicende patrie in modo arguto e ironico, dileggiando la pochezza del sistema informativo nazionale. Sballottato tra il pessimismo di Braggadocio e l’ottimismo di Simei, il direttore del giornale, il nostro novello Candido giunge al termine del viaggio con una giovane Cunegonda capitatagli involontariamente – Maia, una dei sei redattori – e la consapevolezza che nel nostro paese, ma forse nel mondo intero, nulla si può fare in generale – il pessimismo della ragione – senza che per questo si possa rinunciare a coltivare il proprio orto, l’ottimismo della volontà.

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