Recensione: Annie Ernaux, Il posto, L’orma editore

Annie Ernaux, Il posto
L’orma editore, pp. 107, euro 10
traduzione Lorenzo Flabbi
 
E’ molto difficile per il memorialismo raggiungere il livello dell’arte. E’ molto difficile ricordare qualcosa senza lasciarsi influenzare da ciò che si è vissuto dopo; il risultato è inevitabile: si scrive del ricordo del passato più tutti i pensieri che l’hanno seguito e quindi il passato scompare. Il memorialismo è quindi quasi sempre relativamente falso; chi rimpiange i bei tempi andati non è un artista.

Riconosciamo dunque alla brava Annie Ernaux il merito di saperci riportare con questo piccolo libro l’interezza della figura del padre, che è suo padre ma anche tutti i padri di una certa epoca, quella della mancanza di tutto e della possibilità di avere tutto. Senza tentare di suscitare ad arte la partecipazione emotiva di chi legge, ci presenta la storia della sua famiglia. Dai campi del nonno al piccolo bar di paese che i suoi genitori hanno comprato per fare crescere lei, l’unica figlia, in un luogo più sano. Il romanzo inizia con la giovane Annie che supera la prova per diventare professoressa, punto d’arrivo insuperabile per la figlia di una famiglia di illetterati. Da questo punto torniamo alla partenza, alla famiglia del nonno e all’assoluta mancanza di una prospettiva per chi nasceva nelle campagne della Normandia a inizio ‘900. Su questa mancanza assoluta pare costruirsi tutta la vita del genitore, o meglio, sulla semplice possibilità che subentri questa mancanza e riporti tutti alla condizione di partenza. La precarietà è stata ovviamente superata dalla figlia, prima professoressa e poi affermata intellettuale della Francia d’oggi; ma questo non la condiziona. E’ come se vedessimo sessant’anni di storia francese attraverso una telecamera fissa che inquadra sempre quella persona, che non riesce ad allontanarsi dall’inquadratura.
Il suo posto.

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