Recensione: Percival Everett, Percival Everett di Virgil Russell

Percival Everett
PERCIVAL EVERETT DI VIRGIL RUSSELL
Edizioni Nutrimenti, pp. 266, € 16
Traduzione di Letizia Sacchini

Però. Posso iniziare una recensione con “Però”? Non penso, però l’ho fatto e proseguo. Dato che parlerò di un libro di Percival Everett che è di – in senso generativo forse – Virgil Russell, sarà bene aspettarsi, fors’anche augurarsi, tali errori morfo-sintattici. Va da sé che il linguaggio, che attraverso morfologia e sintassi, nonché grammatica e semantica e svariate altre particolarità difficilmente elencabili ma nondimeno importanti, tende a svilupparsi vieppiù, e vieppiù descrivere adeguatamente, o con mancanza di adeguatezza, il mondo, è uno dei punti centrali del non romanzo che potreste decidere di leggere. Se sarà dopo aver letto questa mia, ne sarò lusingato, se lo deciderete per i fatti vostri va bene lo stesso.
Dunque. Se vostro padre stesse morendo, e voi foste raramente al suo capezzale, come vi sentireste in qualità di figli: un po’ degeneri? Senza cuore, anaffettivi di ritorno – da cosa? – e potenziali serial killer? Bè, Everett è lì che guarda il padre aspettandosi che muoia presto, forse, quand’ecco che il padre pare risvegliarsi e coinvolgere il figlio in una trama. La trama del libro che lui avrebbe voluto il figlio scrivesse; o forse che aveva scritto il nonno, nella speranza che il figlio, il papà di Everett, lo imitasse. Ma smettiamola con la genealogia, triste retaggio di un’epoca che vedeva i legami di sangue avere la meglio suoi legami instaurati della ragione, e andiamo alla trama. Già, una trama, ché tutti noi siamo coinvolti in una “trama”, più o meno ampia, più o meno interessante ma sicuramente originale, dato che ciascuno ha la sua e basta. In questa trama – non la nostra, che non interessa a nessuno (cfr. Irving, Il mondo secondo Garp) ci sono vari personaggi, descritti un po’ alla rinfusa. Oltre al già detto padre v’è, in ordine sparso, ché l’ordine sta negli occhi di chi legge e non di chi scrive, e quindi non voglio perder tempo a mettere ordine in ciò che ricordo disordinatamente, una banda di infermieri poco corretta verso i degenti; un paio di gemelli ciccioni e spacciatori di droga in possesso di una casuale collezione di macchine fotografiche d’epoca; un marito mollato dalla moglie per un aviatore; un proprietario di ranch, nero ovviamente, minacciato dai vicini e che forse si innamora o forse riesce a portarsi a letto – che differenza c’è? – di una veterinaria che è andata a soccorrere un suo cavallo ferito; i suddetti degenti che cercano di resistere alle angherie degli infermieri.
Gli altri protagonisti evanescenti non ve li racconto. E’ difficile raccontare qualcosa che pare esulare tanto dal normale concetto di trama che tutti condividiamo. A fare da collante su tutto però lo sguardo ironico nel lutto, distaccato nella partecipazione, di un Everett che ribadisce con quest’ultimo lavoro il suo posto tra gli scrittori meritevoli di passare alla storia.
Se ci fosse, una storia.

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