Recensione: V.S. Naipaul, Il massaggiatore mistico, Adelphi

V.S. Naipaul, Il massaggiatore mistico

Adelphi, pp. 230, euro

Traduzione Giorgio Monicelli

Questo è il primo libro che Naipaul diede alle stampe e, benché nell’introduzione l’autore paia rammaricarsi di una certa approssimazione della scrittura, devo dire che i tratti caratteristici del capolavoro di Naipaul – Una casa per mr. Biswas – sono già presenti. Ganesh Ramsumair, il protagonista, è un imbelle e accomodante abitante della colonia inglese di Trinidad e Tobago. Di religione indù, Ganesh dedica la vita al rispetto dei principi ideali della sua fede che, guarda caso, si accordano alla perfezione con una sua illogica fiducia in se stesso ed in sue presunte capacità di mistico. Il libro è la cronaca minuziosa ed ironica di come per caso, sfruttando un’indiscutibile testardaggine e varie circostanze ambientali favorevoli, il nostro sia riuscito ad elevarsi dal ruolo di marito fannullone a quello, ben più ambito, di notabile dell’impero, poco prima che le isole natali acquisissero l’indipendenza dall’Inghilterra.

La lettura è gradevole, piana, mai volgare. La differenza della cultura induista rispetto all’occidentale balza subito agli occhi e Naipaul, che è nativo di quelle isole, è bravissimo nel descrivere ironicamente le idiosincrasie di una cultura che da interamente rurale e, potremmo dire, ad organizzazione teologica, sta per entrare nella modernità grazie agli anni di occupazione americana a seguito della seconda guerra mondiale. Il modello occidentale viene prontamente recepito e Ganesh, con tutta la sua corte di saltimbanchi, ne coglie la vetta spumeggiante per farsi portare lontano da un mondo nel quale ha creduto ma che ora non c’è più. Non sembra però lo faccia in maniera consapevole e questo ne preserva la purezza. Diciamo che rendendosi conto di non poter più essere né massaggiatore né mistico, si accontenta di essere un politico.

Come dicevo, in Naipaul la traccia dominante è l’ironia.

 

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