Recensione: Nassim Nicholas Taleb, Antifragile, Il saggiatore

Nassim Nicholas Taleb, Antifragile
Il saggiatore, pp. 446, euro 24
Traduzione Daniela Antongiovanni, Marina Beretta, Francesca Cosi, Alessandra Repossi
Iniziamo con una distinzione elementare ma che potrà risultare utile per avvicinarsi a questo libro. La filosofia può essere, in maniera grossolana ma utile, distinta in due branche fondamentali. Da un lato abbiamo lo studio dell’uomo con se stesso e con gli altri (etica e religione) dall’altra lo studio della realtà che circonda l’uomo (estetica e scienze pure). Dato che la religione ha tentato di inglobare l’etica, disciplina astratta e più pura, si è verificata una graduale inapplicabilità delle norme etiche nel mondo che la scienza andava trasformando. Alla fine ci troviamo a vivere in un mondo dove la fanno da padrone la religione – anche il versante cinico-scettico è un cascame della perduta religiosità – e la scienza. Etica ed estetica, quanto mai legate ed indissolubili, rimangono a consigliare la via da percorrere a pochi. L’autore di questo libro crede in tutta onestà di essere uno di costoro e fornisce a chi abbia la pazienza di leggerlo alcuni suggerimenti su come sfruttare a proprio vantaggio la predilezione tutta moderna per la fragilità.
La fragilità è un sentimento prettamente moderno nei confronti dell’esistenza. La fragilità nasce quando un sistema che, per le sue qualità intrinseche sarebbe inadatto a vivere, viene mantenuto in vita dal contesto nel quale è inserito. La fragilità è quindi un sentimento prettamente umano che si sviluppa con l’arrivo dell’illuminismo; la ragione cerca di porre argini ai comportamenti automatici che l’uomo, in quanto animale, sviluppa. Dopo oltre due secoli di sviluppo la fragilità è diventata la piaga che contraddistingue il sistema sociale nel suo complesso, secondo l’autore di questo libro. Per reazione, Nassim Nicholas Taleb propone di rapportarsi alla vita attraverso l’applicazione di comportamenti antifragili.
Fragilità e antifragilità sono proprietà del sistema, che scaturiscono automaticamente dal suo funzionamento: “L’antifragilità di alcuni nasce necessariamente dalla fragilità di altri” (p. 85). Quindi, pare dirci il nostro filosofo libanese, occorre adeguarsi al sistema e, sfruttandone la debolezza, arricchirsi. Sostiene la necessità di evitare comportamenti in cui il rapporto costi/benefici sia sbilanciato verso i costi (grossi) in caso di fallimento con benefici (piccoli) in caso di successo. Questi comportamenti, secondo lui, sono caratteristici di tutto il sistema economico contemporaneo. Essendo molto fragile, questo sistema collassa quando si verifica un piccolo errore o un piccolo imprevisto: sono i Cigni Neri.
La storia dell’economia e dell’ambiente più recente è piena di Cigni Neri, a testimonianza di una validità parziale della lettura della realtà che ci fornisce il nostro. Il compito che suggerisce ai suoi lettori, è evitare i Cigni Neri attraverso l’agire antifragile. Questa posizione è sostenuto con uno stile brioso, ricco di esempi concreti e riferimenti ai classici della filosofia; Seneca e tutto lo stoicismo sembrano piacergli molto, anche se arriva perfino a citare Nietzsche; non parla mai comunque di filosofi nati nel ‘900.
Spero si sia capito che non sono  del tutto d’accordo con l’autore del libro, le cui posizioni mi sembrano peccare d’ingenuità. La sue frasi prese a sé sono gradevoli da leggere e paiono aforismi nicciani: “Ciò che semplifica la vita è che il robusto e l’antifragile non devono avere una comprensione del mondo accurata quanto il fragile e non necessitano di previsione” (p. 156); poco oltre: “La mia idea è che nel prendere decisioni la saggezza è molto più importante (non solo in senso pratico, ma anche filosofico), della conoscenza” (p. 174). Questi due esempi mettono in luce un atteggiamento che dà troppo spazio all’innato e all’intuitivo e troppo poco al razionale, troppo all’innato e troppo poco al costruito. Posso essere d’accordo con le osservazione di Nassim ma non sono osservazioni applicabili in generale; sono delle norme individuali di vita. E’ sbagliato ricavare da norme individuali altre norme individuali; l’induzione non è un principio applicabile nel campo dell’etica.
Un conto è dire che lo sviluppo della modernità ha portato ad estremizzare comportamenti che nei loro effetti smentiscono i presupposti stessi della modernità, altro conto è dire :” Se in natura esiste qualcosa che non capite ci sono buone probabilità che quella data cosa abbia un senso più profondo, che va oltre la vostra comprensione. Quindi nelle cose della natura c’è una logica di gran lunga superiore alla nostra: (…). Ciò che fa Madre Natura è rigoroso fino a prova contraria; ciò che fanno gli esseri umani e la scienza è difettoso fino a prova contraria” (p. 371).
Si ribadisce in questa frase la principale pecca delle tesi sostenute nel libro. Dire che l’ideale illuminista è andato incontro a notevoli fallimenti e smentite sul campo della sua applicabilità è sicuramente vero, ma dire che all’illuminismo occorre sostituire un atteggiamento fideistico nei confronti della natura e delle persone dotate dalla natura non mi pare il massimo; sentite cosa dice all’inizio del libro per meglio inquadrare il suo scopo: “Stiamo assistendo a un cambiamento fondamentale. Pensate alle società di un tempo, quelle che sono sopravvissute. La differenza principale tra noi e loro sta nella scomparsa del senso di eroismo: la progressiva perdita di rispetto nei confronti di coloro che si fanno carico dei rischi di esiti negativi al posto degli altri, unita al disconoscimento della loro influenza” (p. 39). Sembra quasi ambisca ad un ritorna alla società classica divisa in classi, con i sacerdoti, i guerrieri, i contadini e, da parte per essere ammirati, gli eroi. Non è vero che i comportamenti antifragili non vengono riconosciuti; diciamo che c’è una relativizzazione della loro portata che fa sì che non siano più circonfusi di quell’aria di eroicità che li caratterizzava nei bei tempi che furono. Credo che oggi più che nei bei tempi andati uno che voglia comportarsi in maniera autonoma, secondo un proprio metro di giudizio, abbia molte più possibilità di farlo. Vale poi la pena ricordare che ai bei tempi che furono se non eri un eroe antifragile, o il figlio di un potente antifragile (il nostro è figlio di un pezzo grosso del Libano pre guerra civile), avevi poco da sperare dalla vita.
In definitiva questo libro è una gradevole rassegna di casi personali e riflessioni individuali su come affrontare la vita in modo positivo, non è certo un libro di filosofia; anche se possiamo essere d’accordo con lui che l’eccesso di filosofia teorica a scapito di una filosofia agita, pratica, è parte fondamentale del processo che ci ha condotti alla preponderanza della fragilità sull’antigragile: “C’è da osservare un altro aspetto della Svizzera: si tratta forse della nazione che ha avuto più successo nella storia, eppure il suo livello di istruzione universitaria è sempre stato inferiore a quello degli altri paesi ricchi. Il suo sistema, persino nel settore bancario dei miei tempi, si basava su modelli di apprendistato, quasi di formazione professionale, piuttosto che su modelli teorici. In altre parole sulla Techné e non sull’Episteme” (p. 112).
 La tesi esposta è elementare e rimanda ai testi classici degli stoici, pur adattata al variare dei tempi. Ricordiamo che la scuola stoica non è mai stata una scuola vera e propria ma più un serie di esempi sulle pratiche di vita da condurre. Potete prendere quindi esempio dal nostro se siete grandi e grossi, di famiglia ricca, polemici quel tanto; e antifragili dentro.

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