Recensione: Carlo Freccero, Televisione, Bollati Boringhieri

Carlo Freccero, Televisione

Bollati Boringhieri, pp. 168, euro 9

In questo libro Carlo Freccero, l’attuale direttore di RAI 4, muove severe critiche alla televisione senza criticare la televisione. Ovvero, critica l’uso che viene attualmente compiuto della televisione, senza criticare il mezzo di comunicazione in quanto tale. Ogni mezzo di comunicazione che l’uomo ha utilizzato nel corso della sua storia ha la sua specificità, ed in quanto tale è sempre stato criticato dagli eredi del mezzo che dominava l’era precedente. Noi siamo entrati nell’era televisiva partendo dall’epoca della scrittura. Ovvio che critichiamo la superficialità del mezzo televisivo partendo dalla profondità che offre la scrittura. Ciononostante, visto che il mezzo è il messaggio, il messaggio dominante, e quindi il mezzo che dobbiamo usare per diffondere un contenuto più profondo (simile quindi a quello fornito dalla scrittura) è quello televisivo.

La stampa è però un mezzo agli antipodi della comunicazione televisiva: la pagina scritta permette di tornare più volte su un concetto, di affrontare la complessità di una tesi, di utilizzare una sintassi costruita su subordinate e coordinate. La televisione è legata a un consumo distratto e discontinuo, continuamente deve contrastare la caduta di attenzione dello spettatore e lo può fare solo facendo ricorso alla superficialità e spettacolarità dell’immagine. La televisione è incompatibile con la razionalità. (…) Ma perché allora la televisione nasce come strumento di divulgazione culturale?” (p. 31). Il motivo è essenzialmente storico. Quando la televisione nasce in Italia, siamo nel primo dopoguerra; il paese è diviso e arretrato, c’è bisogno di un trasferimento di contenuti alla maggioranza della popolazione. La televisione assume questo impegno, ma esso contrasta con la natura intima del mezzo; si ottiene così una patina di formazione che è il terreno ideale per fare partire la fase “americana” della televisione. Alla fine degli anni ’70 nascono le tv private e per esse il problema non è più formare/informare l’utente, bensì rendere l’utente fedele.

Questo processo di fidelizzazione, che è anche una strada che conduce verso la perdita della capacità critica, investe la totalità della popolazione, non solo i fedeli diretti, non solo le massaie che guardano i notiziari di Emilio Fede. Questo perché il mezzo è il messaggio. Il messaggio disponibile a chi è aperto al mondo è comunque un messaggio formato sul mezzo televisivo. L’affermazione della televisione come mezzo che fornisce il contenuto del dibattito pubblico coincide con il passaggio dalla modernità alla postmodernità, dalle idee basate sulla ragione alle idee che si conformano alle opinioni della maggioranza: “…un concetto di maggioranza come democrazia, maggioranza come verità, maggioranza come bene sociale, ha preso il sopravvento su quei concetti illuministici e moderni che vedevano nella tutela dei diritti delle minoranze la vera missione della democrazia, nella divisione dei poteri la garanzia essenziale contro il totalitarismo, nella ricerca della verità, anche in contrapposizione all’opinione più diffusa, una necessità e un dovere” (p. 12).

Secondo Freccero la nuove tecnologie, quelle che dipendono dalla rete, stanno rendendo l’utente più critico nei confronti del mezzo e questo porterebbe ad una trasformazione: “Il pubblico non vuole più, come nella tv generalista, essere intrattenuto, ma coinvolto” (p. 141). Nel passaggio dall’analisi di ciò che è stato alla previsione di ciò che sarà Freccero si mostra, secondo me, eccessivamente speranzoso dimenticando che nel paradigma postmoderno è il livello inferiore del discorso che stabilisce qual è lo standard. Nelle pagine precedenti Freccero riconosce che “con il pensiero debole il sapere divorzia dalla verità e rinuncia quindi, anche coscientemente, al potere” (p. 99). Il divorzio di sapere e potere è il dramma che l’analisi illuminista della storia mette in luce. Ma è un dramma solamente per chi vede nel sapere la dimensione fondante; per chi, ed è la maggioranza, vede nel potere l’aspetto fondamentale della propria esperienza del mondo, la rete non è altro che l’ennesimo strumento utilizzabile per esercite potere.

L’analisi di Freccero, benché dotta ed articolata, manca di organicità e le conclusioni appaiono non del tutto convincenti. L’uso critico del mezzo è contraddittorio, perché il mezzo non vuole critica ma uso. Scopo del mezzo è continuare a funzionare. La società italiana – forse la società occidentale nel suo complesso – non è altro che il riflesso visibile del mezzo di informazione più diffuso. Il mezzo che fa della volgarità e della velocità i suoi punti di forza, indipendentemente dal fatto che in alcune isole felici vi sia analisi e lentezza, crea una società veloce e volgare.

Una tele-società.

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