Recensione: Juan Gabriel Vasquez, Il rumore delle cose che cadono, Ponte alle Grazie

Juan Gabriel Vasquez, Il rumore delle cose che cadono

Ponte alle Grazie, pp. 282, euro 16.80

Traduzione Silvia Sichel

Le cose che cadono del titolo non sono piatti, quadri appesi male o monetine che per sbadataggine lasciamo scivolare per strada; niente di così banale. Anche i corpi umani fanno rumore, quando vanno per terra. Si parlerà quindi di un aereo, un grosso aereo passeggeri precipitato nei pressi dell’aeroporto di Bogotà, in Colombia. Il narratore della vicenda, Antonio Yammara, giovane docente universitario conosce al tavolo da biliardo il signor Ricardo Laverde, ed un pomeriggio, quando sono ormai diventati amici, Laverde chiede ad Antonio se conosce un posto dove sia possibile ascoltare una misteriosa cassetta. Mentre la ascolta Laverde inizia a piangere e Antonio, timoroso e forse anche meschino, distoglie lo sguardo e si concentra in ciò che sta sentendo. Quando si risveglia dal breve assopimento, Laverde è scomparso.

A questo punto il romanzo parte di slancio. Quella che all’inizio sembrava una noiosa riproposizione dei luoghi classici della narrativa sudamericana, l’amicizia virile e la vita nei bar, diventa la molla per raccontare un po’ di storia della Colombia negli anni di Pablo Escobar e del cartello di Medellin, oltre alle vicende della famiglia di aviatori cui Laverde appartiene. Il ruolo ricoperto da Ricardo Laverde negli anni ’70 nel trasporto aereo della droga in America si intreccia alla sua vita privata ed al suo amore per Elena, ragazza americana giunta in Colombia sulla spinta degli ideali del periodo Kennedy.

Un buon romanzo, scritto bene e con una particolare attenzione dedicata a descrivere come i destini delle persone possano talvolta rispecchiarsi.

Nel bene e nel male.

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