Recensione: Loretta Napoleoni, Democrazia vendesi, Rizzoli

Loretta Napoleoni, Democrazia vendesi
Rizzoli, pp. 190, euro 14
     Più che cercare di descrivere i meccanismi economici che hanno portato l’Italia e tutti i paesi deboli dell’Europa, sostanzialmente i paesi che si affacciano sul mediterraneo, ad una situazione di forte indebitamento verso l’estero e di indebolimento della struttura produttiva interna, cercherò di illustrare il contenuto di questo libro con l’analisi delle suggestioni storiche che la Napoleoni porta. Evito intenzionalmente di affrontare le spiegazioni tecniche, che pure ci sono. Non potendo in alcun modo influenzare il loro svolgimento e ritenendoli profondamente anti-umani, i meccanismi economici attuali credo vadano colti sotto l’aspetto del senso che rivestono per la nostra vita. Per cogliere questo senso i richiami storici e antropologici dovrebbero bastare.
     Il primo esempio riportato dalla Napoleoni è quello di una popolazione annidata tra le montagne al confine tra Cina, India e Tibet. Un ricercatore francese scoprì, negli anni ’70, una strana forma di economia in questa regione, ricca per i commerci. Nei secoli si era formata una casta di usurai che prestava alle famiglie povere il denaro per i matrimoni ed i funerali, le cerimonie pubbliche importanti; per il matrimonio occorre una dote, ovvio. Dato che i cittadini comuni sono poveri, non hanno risorse per sdebitarsi del prestito; ma il debito è una questione d’onore, e allora, che fare? Dopo la notte di nozze la sposa viene ‘data’ al signore locale il quale, dopo averne goduto, la manda a prostituirsi nei campi dei minatori e dei contadini. Quando il debito è pagato, la donna può tornare a casa ed iniziare a condurre la sua vita di sposa. Benché all’occhio occidentale una cosa del genere paia assurda, lì era tranquillamente accettata. Il peso civile del debito non onorato era tale. Le popolazioni del sud Europa sono in qualche modo le giovani ragazze costrette ad una vita abietta dai loro genitori – i nostri governanti e la casta delle banche – per soddisfare il debito verso i potenti signori – le banche del nord e i loro governi.
     Il secondo esempio è un altro dato storico. Prima dell’unificazione d’Italia, il regno delle due Sicilie era un regno ricco, con un fiorente commercio con le altre nazione del bacino mediterraneo. Il reddito pro capite era superiore a quello del Piemonte, che però di lì a poco l’avrebbe conquistato. Cavour, prescindendo per ora dalle sue motivazioni, ci riuscì sfruttando l’aiuto di Francia e Inghilterra che volevano contrastare il rivale marittimo e porre in campo un’altra regione forte da contrapporre alla Germania. Così il regno dei Borboni fu annesso all’Italia. Il primo risultato di questa operazione militare fu  un innalzamento dello spread dei titoli di stato emessi dai Borboni ed un collasso della fiorente struttura produttiva impiantata nel regno. I mercati dell’epoca non si fidavano di uno stato nuovo retto da un governo vecchio, che aveva già dato mostra di poca sagacia nella gestione degli affari economici.
     Mutatis mutandis, questa situazione si è presentato all’indomani della creazione della moneta unica. La nuova Europa non ha una comune politica economica ed industriale. Per offrire un mercato agli stati forti, gli stati deboli hanno dovuto accettare un depauperamento della propria struttura produttiva. La Grecia, prima dell’euro, aveva i più importanti cantieri navali d’Europa. La chiusura dei cantieri è stata in un primo tempo tamponata con un allargamento della struttura statale, ma gli impiegati non producono, non trasformano la natura, non creano plusvalore. Gli impiegati sono giustificati se c’è una produzione reale.
     L’introduzione della moneta unica è stata, a detta della Napoleoni, una forzatura di cui ora paghiamo le conseguenze. Essa è il segno della subordinazione della politica all’economia, perché si è realizzata in assenza di un piano politico, esclusivamente per finalità finanziarie. Le reazioni dei potenti del nord rispetto alle crisi attuali e future sono incerte. Da un lato non vogliono rinunciare  a questa moneta che li ha resi forti e stabili sui mercati, dall’altro non possono fare ingoiare alla propria popolazione la necessità di ripagare il debito degli stati deboli. La previsione dell’autrice è che le cose resteranno stagnanti fino all’autunno, quando la Merkel andrà alle urne; poi si vedrà.
     Loretta Napoleoni non si limita però alla descrizione della situazione, avanza anche delle proposte. Secondo lei occorre uscire dall’euro, prima di tutto. Non si tratta, badi bene, di una proposta del tipo ‘cancelliamo tutto e poi si vedrà’. La proposta si inserisce in un discorso graduale e quindi politico. Se usciamo dall’euro, lo dobbiamo fare in modo concordato con gli altri paesi dell’unione, in vista di un nostro rientro. L’uscita dovrebbe essere preceduta da una manovra di annullamento, o perlomeno dimezzamento, del debito, procedura di fatto già adottata per la crisi greca. Il ritorno ad una moneta debole incentiverebbe le nostre industrie, a patto ovviamente che vi sia un sostegno statale. Sempre appoggiandosi alla storia, la Napoleoni ricorda che Keynes aveva predetto le conseguenze nefaste della richiesta del pagamento dei debiti di guerra alla Germania; debitore e creditore sono legati, devono crescere insieme o insieme periranno.
     Un libro convincente questo. Convincente almeno per quanto riguarda i presupposti etici che si intuiscono sullo sfondo, presupposti che sono in netto contrasto, in pratica se non in teoria, con quelli sostenuti dai nostri politici. Il liberismo accolla all’individuo il debito, che in molti casi non riesce ad onorare; in democrazia lo stato, forte della sua autorevolezza, si fa carico del debito, temporaneamente, per permettere al cittadino di lavorare.
     Solo dal lavoro libero nasce la democrazia.

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