Recensione: Emanuele Severino, Capitalismo senza futuro, Rizzoli

Emanuele Severino, Capitalismo senza futuro

Rizzoli, pp. 206, euro 19.00

“Nonostante la crisi, nonostante tutto, il capitalismo sembra oggi vincente perché si serve della tecnica. E’ inevitabile che per continuare a vincere voglia rafforzare sempre più lo strumento che gli consente di vincere. Ma con questa volontà il capitalismo non assume più come scopo l’incremento indefinito del profitto, ma l’incremento indefinito della potenza della tecnica” (p. 35).

La previsione di Severino non è dovuta al supposto revival delle forze del proletariato oppresso, bensì alla semplice considerazione che un fine (capitalismo) che utilizzi un mezzo estraneo a sé (tecnica) per realizzarsi, non fa che indebolire se stesso nel costante tentativo di incrementare la potenza del mezzo che suppone lo realizzi. Detto in parole più semplici, la tecnologia che il capitalismo usa per attuarsi finirà per diventare lo scopo dell’agire capitalista, contro lo scopo originario dell’accumulazione di capitale. Va anche detto però che questa previsione è puramente teorica, basata sul presupposto esclusivamente logico dell’erosione dello scopo da parte del mezzo. Severino stesso del resto riconosce che questa eclisse del capitalismo è ancora di là da venire. Attualmente la tecnica è utilizzata semplicemente come mezzo da tutte quelle forze che, eredi dell’atteggiamento mitico dell’uomo di fronte alla natura, si contendono il dominio della terra.

Tale dominio si gioca sui risultati visibili, diretti, ed in questo la tecnologia si contrappone, vincente, alla verità come scopo dell’agire umano. Dato che la verità è stata supposta esistere da qualche parte almeno fino a fine ‘800 – quando Nietzsche dice che Dio è morte dice che non c’è più verità alcuna -, la scomparsa della verità come risultato ottenibile porta con sé tutta una serie di conseguenze, soprattutto nel campo dell’atteggiamento dell’uomo versola realtà. Scompareovviamente ogni fondamento all’agire etico e quindi anche politico, perché gli unici obblighi cui l’uomo deve sottostare sono quelli del funzionamento della tecnica e non quelli della verità. Che tutto scorre è l’unica verità indubitabile, una verità che consegna l’uomo al nulla che lo precede e al nulla che lo aspetta: “…le cose diventano altro da ciò che sono, e ciò che sono lo diventano da altro da ciò che esse sono” (p. 7).

Fatta salva questa, che è l’unica certezza che due millenni e passa di filosofia hanno consegnato all’occidente, ovvero che tutto diviene – e se tutto diviene non vi può essere un ordine prevedibile (Proprio perché provengono dal nulla e vi ritornano, le cose non possono quindi accadere secondo un ordine immutabile, p. 200) – la conclusione di Severino, che quello che ci attende è una pax Tecnica ove lo scopo dell’uomo sarà l’incremento della potenza dell’Apparato lascia comunque perplessi. Perché se con questa locuzione occorre intendere una perfetta regolazione della vita in base a principi meccanici – il che ovviamente non è, troppo ingenuo – l’imperfezione implicita alla tecnica non lascia speranze; se invece è da intendersi, come credo, come una situazione in cui ogni azione avrà una finalità in sé tecnologica che dunque cancelli gli scopi sia mitici sia post mitici (religiosi, capitalistici, democratici, umanitari) per sostenere questa posizione occorrerebbe accettare che ogni azione abbia uno ed un solo scopo, il che ovviamente non è. Se un’azione che ha finalità tecnologiche si esercita tramite lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo attraverso il valore di scambio e richiamandosi al potere occulto di forze divine, abbiamo una situazione in cui un’unica azione realizza tre scopi diversi. La tecnologia si sviluppa, il capitalista stringe la borsa ed il prete invita a volersi bene.

La tecnologia non pare possa essere intesa come lo scopo ultimo dell’uomo, bensì solo come un altro tassello nella lunga lista di strumenti attraverso i quali l’uomo ha potuto nel corso dei secoli mantenere fede alla scoperta fondamentale della filosofia, ovvero che tutto si trasforma. Forse con questa scoperta, questa serie di scoperte perché la tecnologia non è Una, è una sequenza d’atti, l’uomo ha accelerato la velocità della trasformazzione. Ma questo trasformarsi non va, come voleva Hegel, verso uno spirito assoluto, né, come voleva Marx, verso una dittatura del proletariato né, come vorrebbe Severino, verso una Pax Tecnica. E’ pur vero che, per quelle che sono le caratteristiche di spirito, proletariato e tecnica, è quest’ultima che fa miglior mostra di sé in questo momento. Ma dato che la realtà è dialettica, ovvero è costituita dall’interazione di elementi contraddittori che interagendo provocano il proprio superamento,  lo scopo dell’uomo, dell’uomo singolo, che mi pare molto più interessante dell’Uomo di cui parla Severino, continuerà ad essere diverso ogni giorno in ogni luogo del mondo. Purché l’uomo sia libero nel pensiero.

E sappia che il capitalismo non ha futuro


 

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