Recensione: Philp Roth, La mia vita di uomo, Einaudi

Philp Roth, La mia vita di uomo
Einaudi, pp. 374, euro 20
Traduzione Norman Gobetti
     Cos’è la vita di un uomo, ve lo siete mai chiesti? Oppure siete tra quelli che si limitano a vivere, senza mai porsi domande? Beh, io no, non sono così, e l’ho capito solo dopo che la mia prima, odiatissima moglie, mi ha condotto sull’orlo del collasso nervoso. Per fortuna che ho trovato delle persone che mi hanno aiutato, altrimenti non ce l’avrei mai fatta. Il primo che voglio nominare di queste importantissime persone è il mio dottore, no, non quello delle pastiglie, che quello basta chiamarlo medico, quello che mi ha aiutato è un dottore della mente, un analista non iscritto all’albo che mi ha convinto a lasciare questa donna cui ero legato dal solo senso del dovere. Perché io sono ebreo, capite, e per noi, dopo che hanno provato a sterminarci in Germania, il dovere verso la famiglia e verso i più sfortunati è diventato il pilastro dell’esistenza. Facciamo una fatica tremenda a trattare male gli altri; ed io non me la sono sentita, prima di conoscere il mio dottor Spielvogel, di rinunciare coscientemente a Maureen, perché lei diceva di non potere rinunciare a me, e mi implorava, e allora io in questo romanzo racconto, cerco di raccontare, due vite esemplari, gli inizi di due vite esemplari ovvero due giovinezze, che condurrebbero un potenziale scrittore di successo ad una vita felice, ma poi, visto che entrambe le vite, che poi sono ancora la mia, non conducono a nulla, se non a rimpiangere il passato, che è sempre una cattiva idea, perché nel culto del passato si nutrono  le nevrosi, abbandono questi due monconi di romanzo, che però riprenderò magari negli anni a venire, che tanto io non ho fretta, sono uno scrittore compulsivo, scrivo perché sono costretto, e racconto la mia vita di uomo. E la racconto come ho raccontato la mia vita di ragazzo nello stupendo e tanto acclamato Lamento! di Portnoy. Solo che adesso sono un uomo, e quindi non mi limito a sognare le donne per masturbarmi ma le conosco in senso biblico. Ora sono uno scrittore di successo e conosco questa donna, Maureen, un po’ più grande di me e piena di problemi. Ma io sono ebreo, sono pieno di senso del dovere e mi fidanzo. Anche quando mi accorgo che è squilibrata, che non mi può rendere felice, non riesco a mollarla. Lei, per non farsi mollare, arriva perfino ad inventare una gravidanza spacciando per sue le urine di una donna di colore incinta. E ci sposiamo, ed io in breve divento infelice. A questo punto entra in campo la famiglia, mamma, papà fratello e sorella, tutti dalla mia parte a domandarmi perché non la lascio. Ed io, finché non incontro il dottor Spielvogel, non riesco a fare il passo, nemmeno quando la splendida Susan mi dichiara tutto il suo amore e si dichiara disposta a servirmi in tutto e per tutto, realizzando il più recondito sogno d’ogni uomo. Perché non sono riuscito a fare quello che dovevo fare per raggiungere un po’ di felicità? Ancora adesso non l’ho capito, anche se mi sono avvicinato molto alla comprensione ma poi, come l’angelo della storia, sono stato spazzato via dal vento ed ho perso di vista il senso, o la mancanza di senso, di quello che avevo fatto. Quindi, in conclusione, questo è un romanzo psicoanalitico nel senso più puro, ovvero un romanzo che serve a chi lo legge per capire come può, una persona, restare legata emotivamente a un’altra.
     Finché morte non li separa.

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