Recensione: Richard Powers, Generosity

Richard Powers
GENEROSITY
Edizioni La nave di Teseo, pp. 432, € 18
Traduzione di Giovanna Granato

“Se Powers fosse uno scrittore americano dell’Ottocento sarebbe il Melville di Moby Dick”. Questa infelicissima frase campeggia sulla splendida copertina di quest’altrettanto splendido libro. Per fortuna, so per esperienza che le frasi usate per abbindolare gli acquirenti dei libri sono per lo più vuoti nonsense, e quindi non mi sono lasciato fregare dalla minacciosità del riferimento ma mi sono semplicemente basato sul fatto di avere già potuto apprezzare le capacità di Powers in un suo precedente, e ahimé misconosciuto, capolavoro: Sporco denaro. Misconosciuto ovviamente in Italia, perché in America il nostro ha ricevuto abbondanti riconoscimenti. Ciò che rende Powers ostico per il largo pubblico sono sia lo stile sia le tematiche trattate.
In quest’ultimo libro, attraverso la protagonista Thassa Amzvar – soprannominata Generosity dai compagni del corso di scrittura creativa che frequenta –, Powers ci parla di quanto le biotecnologie possano condizionare le vite delle persone. Il professore del corso, Russell Stone, è una ex promessa della scrittura; sfiduciato dall’impossibilità di esprimere qualcosa attraverso la scrittura, convinto quindi dell’insignificanza del tutto, Russell sopravvive con un lavoro di correttore di testi. L’incarico temporaneo presso l’università – corsi serali – gli permette di integrare i magri guadagni. Appena arriva Thassa in classe, Russell ne è attratto; il carattere della ragazza è a dir poco solare e lui, nella sua negatività, se ne sente rincuorato. La ragazza racconta in breve alla classe del suo tragico passato in un’Algeria dilaniata dalla guerra civile. Nonostante questo, lei è sempre allegra. Russell sospetta che la ragazza sia un rarissimo caso di ipertimia, una costante sollecitazione per la produzione di ormoni che mantengono l’umore della ragazza al di sopra della media. La notizia inizia a trapelare, attraverso i blog dei compagni di classe, fino a raggiungere uno scienziato, il dottor Thomas Kurton. Con la sua piccola impresa, piccola ma aggressiva, Kurton sta inseguendo il sogno della mappatura genomica per isolare i singoli geni responsabili di specifici deficit; attraverso la sua tecnica, vuole offrire al pubblico la possibilità di generare figli senza difetti genetici. La notizia della ragazza organicamente felice, lo spinge a mettersi in contatto e, dopo una serie di esami, ad annunciare la scoperta del gene della felicità.
A questo punto la storia si complica e si intrecciano in maniera magistrale il destino di Thassa, la carriera di Russell e della psicologa che sta aiutando la ragazza, Candace, oltre ai più generali temi della manipolabilità dell’opinione pubblica e della spregiudicatezza e meschinità della ricerca scientifica. Per quanto riguarda lo stile, Powers ogni tanto si intromette nella narrazione come spettatore partecipante e sembra quasi dialogare con il destino dei suoi personaggi. Come già nella precedente lettura di Powers, ho avuto l’impressione di avere di fronte uno scrittore che si dedica alla sua opera in maniera totale, alla ricerca di un senso delle cose, un senso spesso invisibile e sfuggente ma che possiamo intravedere attraverso lo schermo dove, nel finale del libro, Thassa osserva le ‘sue’ bambine.

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