Recensione: Joy Williams, I vivi e i morti, Nutrimenti,

Joy Williams, I vivi e i morti
Nutrimenti, pp. 382, euro 17,50
traduzione Marco Bertoli
Non è un paese per vecchi, diceva McCharty dell’America; leggendo questo libro, si potrebbe dire che non è nemmeno per i giovani. Scherzi a parte, le tre protagoniste di questa non-vicenda danno mostra della difficoltà di vivere in un modo che può essere considerato paradigmatico o, fate voi, gratuitamente esagerato.
     Le tre ragazze hanno sedici anni ed hanno tutte perso, in maniera più o meno strana, la madre. Corvus, la più oscura delle tre, ha perso anche il padre; Annabelle, la più modaiola, quella che vorrebbe fare le cose divertenti, che vorrebbe indossare i vestiti giusti e conoscere chi conta, non quelle due sfigate delle sue amiche, è appena arrivata nella cittadina del deserto con il padre che, tra parentesi, intrattiene lunghi discorsi con la moglie defunta; l’ultima, Alice,  la più incazzata-radicale. Ambientalista, animalista, vegetariana, politicamente a sinistra del Ché, ha perso la madre appena nata, cresce con i nonni e scopre da grande che colui che ha sempre creduto il fratello maggiore è in realtà suo padre.
     Questi sono i personaggi chiave di questa non-vicenda. Perché appunto non succede niente. Nella cittadina nel deserto le tre ragazzine si incontrano e, attorniate dai una miriade di personaggi strampalati, cercano di riempire le proprie giornate con delle attività. Qua e là le considerazioni che fanno sono anche interessanti, ma in effetti manca uno svolgimento, banalmente un inizio e una fine. Può essere un’ottima rappresentazione della condizione giovanile ma anche no; non è assolutamente detto che a sedici anni si debba essere pensierosi come Amleto (Alice-Corvus) né stupidi come una velina (Annabelle), o meglio, lo si può essere ma occorre che questa condizione sia inserita in un contesto che la motivi (assunzione di potere di vario genere). Altrimenti ci si trova calati in un romanzo esistenzialista e, visti i tempi, fa un po’ ridere. In effetti questo è tutto quello che, qua e là, si ottiene leggendo questo romanzo; qualche risata, più sonora all’inizio poi, più si avanza, più ci si stanca di questo assurdo forzosamente inserito nel contesto quotidiano.
     Per farsi una risata, comunque, bastava leggere quello che l’autore dice nell’introduzione del libro, ovvero che “in letteratura non si è obbligati a dire qualcosa”, che è come dire che i vivi sono uguali ai morti.

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