Recensione: Percival Everett, Il paese di Dio

Percival Everett
IL PAESE DI DIO
Edizioni Nutrimenti, pp. 199, € 16
Traduzione di Marco Rossari

Questo romanzo è adattissimo a tutti gli appassionati del genere western perché ci sono tutti gli elementi tipici del genere, ma capovolti ovviamente, trattandosi di un libro di Everett. Si parte con una razzia ad una fattoria, durante la quale viene rapita la moglie del protagonista, Sadie. Il marito, Curt Marder non ha il fegato di lanciarsi sui razziatori travestiti da indiani; va allora in paese alla ricerca di uno che lo aiuti. E chi può aiutare quest’uomo, povero in canna, un po’ vigliacco e fondamentalmente stupido? Solo uno che è sotto di lui nella gerarchia sociale del feroce west, e cioè un nero, Bubba. Insieme a Curt, Bubba e Jake, una ragazzina la cui famiglia è stata trucidata dalla stessa banda, andiamo alla scoperta dei luoghi comuni del genere, svelandone l’implicita logica razzista.
In quest’ultimo, godibilissimo romanzo Everett torna ad assumere il punto di vista del nero come già nei precedenti, esplicitando però la sua posizione da subito. Il finale è didattico e serve a suggerire al lettore, soprattutto se bianco, il livello della consapevolezza che hanno raggiunto i neri circa la loro condizione in America e nelle varie vicende attraverso le quali s’è compiuta l’occidentalizzazione del mondo. Nessuna meraviglia quindi che questo autore non abbia raggiunto la notorietà che gli spetterebbe, nel Paese di Dio.

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