Recensione: Alessandro Mari, Troppo umana speranza, Feltrinelli

Alessandro Mari, Troppo umana speranza
Feltrinelli, pp. 746, euro 18

     Notevole capacità, invero, ci appalesa l’autore del libro in oggetto che, attraverso un sapiente mescolio di realtà e finzione, sa condurci con punto sforzo attraverso la ventina d’anni che precedettero l’unificazione della nazione nostra. E lo fa, il trentunenne scrittore – maggior gloria la giovine età – non con una banale narrazione orizzontale, che dispiega nel tempo e nello spazio i personaggi noti, ma intersecando ben quattro vicende, ciascheduna con i suoi protagonisti, coprotagonisti e comprimari.
     Un primo nucleo narra le vicende dell’eroe dei due mondi nel periodo che ha appunto passato nel deutero mondo, nel mondo altro, in quel lontano, allora, Sud America ove egli combatté per i diritti degli oppressi. E, tra una pugna e l’altra, il nostro ebbe anche la ventura di conoscere la madre dei suoi figli, la tanto vantata Anita – Aninha nella lingua madre – che, pur avvinta da una amore inestirpabile, la ria sorte gli tolse nella fuga dai vili alleati della forza pontificia.
     Vi è poi un secondo versante prettamente storico, quello che vede per protagonista il nobile Mazzini, promulgatore di tesi repubblicane contro il potere dei nobili e del clero, astutamente sorvegliata dalla bella Leda, spia dei servizi segreti. Anche questa storia ha la sua bella morte e un paio di soluzioni narrative che mimano in maniera estremamente convincente le modalità esorbitanti del narrare da feuilleton ottocentesco; ben gli stanno però, queste soluzioni, e meglio ancora starebbero se fossimo nel secolo passato, ché forse la nostra non è più età di fantasia che smentisce la realtà, cercando di superarla, ma di fantasia che la realtà estremizza altrimenti rischia di passare per quello che è: una fola.
     Un altro personaggio, con la sua cerchia di personaggini e personaggioni, è il buon Lisander, artista, pittore prima e callotipista poi; e poi ancora, sfruttando la profonda consapevolezza delle debolezze umane, erotipista, ossia sfruttatore della neonata tecnologia fotografica usata per immortalare, in quadrati sfumati e facilmente scolorabili, le gesta erotiche dei pazienti dell’ospedale psichiatrico di Milano. Una carogna? Un uomo schifoso? No, un artigiano-scienziato che cerca di arricchire ed il cui successo durerà giusto per una notte di festa, proprio come quello degli scienziati moderni.
     E per concludere, il personaggio migliore della vicenda, il buon Colombino che, accompagnato dal fido mulo Astolfo, percorre l’Italia da Milano a Roma per capire, dalle parole del Papa – ingenuo – il motivo del rifiuto della sua profferta amorosa; e, quando insoddisfatto dalle parole del vicario di cristo, tornerà alle terre natie, il ratto dell’amata sarà l’ultima soluzione disponibile. Con questa azione finale tutto il romanzo prende la giusta coloritura di romanzo popolare. Ma alla riflessione, giunti alla fine della lettura, la storia assume la tinta definitiva dello sberleffo, dell’imprecazione, della protesta contro le cose; altresì detto, in paese come il nostro, oggi, è ancora possibile aspettarsi una ribellione del popolo?
     Troppo umana speranza.

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