Recensione: René Guénon, Il regno della Quantità e i Segni dei Tempi

RECENSIONE

René Guénon,

Il regno della Quantità e i Segni dei Tempi
Adelphi, pp. 270, euro 14
Traduzione Tullio Masera e Pietro Nutrizio
Ogni epoca ha degli scontenti che, con occhio critico aperto sul presente e soprattutto sul passato, ma chiuso sull’avvenire, danno un fosco ritratto della situazione. Sentiamo cosa diceva René Guénon poco dopo la fine della guerra circa lo stato del mondo: “La conclusione a cui si arriva è questa: negli individui la quantità predominerà tanto più sulla qualità, quanto più saranno ridotti ad essere, se così si può dire, dei semplici individui, e quanto più saranno, appunto per questo, separati gli uni dagli altri, il che, si badi, non vuol affatto dire più differenziati, poiché v’è anche una differenza qualitativa che è proprio l’inverso di quella differenziazione del tutto quantitativa che è la separazione in questione. Tale separazione fa degli individui solo altrettante ‘unità’, nel senso inferiore del termine, e del loro insieme una pura molteplicità quantitativa; al limite, questi individui saranno paragonabili ai pretesi ‘atomi’ dei fisici, sprovvisti cioè di ogni determinazione qualitativa; e benché di fatto questo limite non si possa raggiungere, è pur questo il senso in cui il mondo attuale si dirige. Non c’è che da guardarsi intorno per constatare che, ovunque e sempre di più, ci si sforza di ricondurre ogni cosa all’uniformità, si tratti degli uomini stessi, o delle cose in mezzo alle quali vivono, ed è evidente che un risultato del genere non può ottenersi se non sopprimendo, per quanto possibile, ogni distinzione qualitativa; ma quel che veramente è degno di nota è il fatto che per una strana illusione, taluni scambiano volentieri questa ‘uniformizzazione’ per una ’unificazione’, mentre, in realtà, essa ne rappresenta esattamen! te l’inverso, cosa del resto evidente dal momento che essa implica un’accentuazione sempre più marcata della ‘separatività’. La quantità, torniamo ad insistere, può soltanto separare, non unire; sotto forme diverse, tutto ciò che procede dalla materia non produce altro che antagonismo fra quelle unità frammentarie che sono all’estremo opposto della vera unità, o che almeno vi tendono con tutto il peso di una quantità non più equilibrata dalla qualità; ma questa ‘uniformizzazione’ rappresenta un aspetto troppo importante del mondo moderno, nonché troppo suscettibile d’essere falsamente interpretato, perché ad essa non consacriamo ancora ulteriori considerazioni (p. 51).
Le idee che René Guénon portava avanti nel ’49, quando scrisse questo libro, sono state dimenticate dalla storia, perlomeno nella sua corrente dominante; ma, dato che la storia non è un giudice imparziale e non è detto che faccia sopravvivere il meglio, credo valga la pena dare un’occhiata al punto di vista di un pensatore metafisico il cui influsso continua a vivacchiare nei soliti circoli esoterici riservati agli eletti.
Prima di iniziare però uno sguardo alla storia della filosofia. Intorno all’anno mille iniziarono a sorgere in occidente delle spiegazioni alternative circa la natura. Fino a quel momento aveva dominato l’idea che la realtà fosse un dato di fatto e che andasse scoperta; ora si inizia ad accorgersi che il soggetto ha un ruolo preponderante nel creare la realtà: nasce il punto di vista in filosofia. Il realismo viene pian piano spodestato e al suo posto si candida il nominalismo che alla fine, oggi cioè, vince. La realtà è tale per il soggetto che la percepisce, vi sono miliardi di soggetti, vi sono miliardi di realtà.
Per l’approccio religioso al mondo, questa condizione non è delle più favorevoli. Perché la religione funzioni occorre che il popolo creda ad una realtà indipendente da lui, i cui meccanismi di funzionamento sono noti a persone ritenute sacre; i circoli iniziatici esoterici, in piccolo, cercano di riprodurre questo stato di cose. L’eliminazione dell’odiata soggettività si ottiene adottando un punto di vista metafisico, un punto cioè dal quale sia possibile fondare il tutto senza renderlo suscettibile di variazioni arbitrarie da parte del singolo. Tutto il lavoro di Guènon è rivolto alla riscoperta di questo punto.
Le teorie meccanicistiche, da cui deriva il materialismo, hanno condizionato la visione dell’uomo contemporaneo a partire dal XVI secolo. E’ contro di esse che si scaglia Guénon, perché sono teorie che negano la possibilità stessa d’una meta-fisica: “Pur non intendendo qui esaminare in modo particolareggiato queste teorie, dobbiamo tuttavia segnalarne quei punti che sono in più diretta relazione con l’argomento che trattiamo: anzitutto il loro carattere estremamente evoluzionistico, per cui esse, collocando ogni realtà esclusivamente nel divenire, sono la negazione formale di un principio immutabile e, di conseguenza, d’ogni concezione metafisica” (p. 217). Il mondo non deve evolvere, perché è stato creato perfetto da Dio. Compito dell’uomo è rispecchiare questa perfezione, non riflettere sulle imperfezioni palesi, frutto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sulla natura. Eppure pare che il nostro filosofo di qualcosa si accorga: “Servitore della macchina, l’uomo deve divenire macchina egli stesso, e il suo lavoro non ha più niente di veramente umano, perché non implica più l’intervento di nessuna di quelle qualità che costituiscono propriamente la natura umana” (p. 63). Questa è l’alienazione, pur non espressa nei termini dello sfruttamento di classe. E’ necessario per un pensatore coerentemente umanista criticare i presupposti del capitalismo, è chiaro. Il problema è farlo senza giungere a criticare la modernità in toto, come Guenon fa, perché è solo tramite essa in quanto corpus di idee che l’uomo è riuscito a liberarsi del peso della tradizione: con tutti i costi, e i benefici, che questo comporta.
La critica di Guénon va infatti a colpire anche i presupposti della scienza perché la scienza è alleata del capitalismo, cioè della necessità di semplificare tutto, di ridurre tutto a quantità, perché, così facendo, si eliminano le differenze: “Il bisogno di semplificare, per quel che ha di illegittimo e abusivo, è, come abbiamo detto, un tratto distintivo della mentalità moderna. In virtù di questo bisogno, applicato al campo scientifico, certi filosofi sono arrivati a sostenere, come una specie di pseudo principio logico, l’affermazione che “la natura agisce sempre per le vie più semplici” (p. 77). La lotta di Guénon è contro i presupposti della modernità, perché lottare contro gli effetti, contro i miglioramenti della vita materiale, non gli avrebbe portato molte simpatie. Come ogni conservatore vede nel presente il nemico e cerca di riportare il suo gregge di fedeli ad un idillico, e irreale, passato.
La sua attenzione si rivolge alla perdita di importanza della dimensione spirituale per l’uomo moderno; ed è un’attenzione giustificata, per la verità. Quest’uomo, ci dice, cerca di ridurre tutto a numero, a quantità discontinua ed in tal modo viene a ridurre grandemente le sue possibilità di percepire una realtà diversa da quella immediatamente percepibile. Va fatto notare che la perdita di spiritualità, se da un lato libera l’uomo dalle pastoie della religione, dall’altro lo lega in maniera forse addirittura più stretta, alle pastoie del mercato che crea l’unica realtà percepibile. Si sta attuando un processo di graduale ‘solidificazione’ ovvero di riduzione di tutto a corpo, a Physis. Solo con la ragione – per Guenon con la spiritualità – è possibile liberarsi del dato immediato. Questo processo è per gli aspetti fondamentali simile alla ‘liquidazione’ di cui parla Bauman: “La solidificazione del mondo, tuttavia, per quanto lontana possa spingersi effettivamente, non potrà mai essere completa, e vi sono dei limiti al di là dei quali essa non può andare poiché, come abbiamo detto, la sua estrema conseguenza sarebbe incompatibile con la sua esistenza reale, sia pure al più basso livello; non solo ma, via via che avanza, tale solidificazione diviene sempre più precaria, poiché la più bassa delle realtà è anche la più instabile: la rapidità dei cambiamenti del mondo attuale lo testimonia in modo sin troppo eloquente” (p. 117). Ciò che rende assurde comunque le affermazioni di Guènon, benché vi sia in esse un dato immediatamente percepibile che è vero, è il costante inserimento di queste frasi in una prospettiva metafisica, per cui la solidificazion! e dipende dall’infiltrarsi, dalla parte bassa della sfera che racchiude il mondo, delle forze del Maligno (proprio così, con la maiuscola: è il Diavolo, ragazzi miei, roba che credevamo morta e sepolta con gli ultimi roghi alle streghe). La parte alta della sfera-mondo è impermeabile, escludendolo dagli influssi benefici degli abitanti dei cieli superiori. In questo modo però il mondo si garantisce l’inesorabile progredire verso la fine, quando il ciclo si chiuderà e darà modo al tutto di ripartire. L’influsso della cultura indiana e orientale, in cui l’idea dei cicli ha un ruolo preponderante, è qui chiarissima; precisiamo che Guènon abbracciò la religione islamica nel 1912.
La solidificazione è solo una parte del processo. Quando il mondo diviene troppo solido, esso si dissolve, riducendosi in polvere, ovvero in nulla ed avvicinandosi così alla chiusura del cerchio: “Vi è dunque, nella riduzione graduale di tutte le cose alla quantità, un punto a partire dal quale tale riduzione non tende più alla solidificazione, e questo punto è, grosso modo, quello a cui si arriva quando si vuol ricondurre la quantità continua stessa alla quantità discontinua; a questo punto i corpi non possono più sussistere come tali, e si riducono a una specie di pulviscolo atomico privo di consistenza; si potrebbe perciò, a questo riguardo, parlare di una vera e propria polverizzazione del mondo, la quale è evidentemente una delle possibili forme della dissoluzione ciclica” (p. 162).
La riduzione di tutto a materia è il tratto caratteristico della nostra epoca ma non si può dar credito a chi aspira un recupero dell’immateriale per sconfiggere le storture introdotte da questa riduzione. La reintroduzione auspicata da Guènon significherebbe l’abbandono della ragione ed il recupero della tradizione quale unico garante della correttezza dei comportamenti civili. Sono sicuro che la qualità della vita non coincida con il riconoscere l’autorità a chicchessia ne sia investito per tradizione religiosa o culturale, come non coincida con il riconoscerla a chi possieda una maggiore forza economica. Il segno dei tempi è però proprio questa vittoria della quantità sulla qualità; l’errore, grossolano e male argomentato, di Guènon sta nel supporre un’età dell’oro in cui la qualità avesse il ruolo di guida del consesso sociale. Quest’epoca non si è mai data e anzi la storia dell’uomo, la dialettica dell’illuminismo, sta lì a mostrare la progressiva e graduale vittoria della quantità, del numero, sulla qualità, sul continuo. Far sì che questa vittoria non elimini le qualità del reale, ma le integri in un processo dinamico è il compito che spetta a chi ancora crede nella ragione.

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