Recensione: Jaume Cabré, L’ombra dell’eunuco

Jaume Cabré
L’OMBRA DELL’EUNUCO
Edizioni La nuova frontiera, pp. 441, € 19
Traduzione di Stefania Ciminelli

Leggere i libri di Jaume Cabré (autore di Le voci del fiume) non può che essere un toccasana per quanti nutrono timore per il futuro del libro. Questo misconosciuto, in Italia, autore catalano riunisce in sé le tre doti fondamentali per uno scrittore: sa creare personaggi credibili, non copiati dalla televisione; è riuscito a produrre un nuovo modo d’esprimersi, per rendere appieno la fluidità e la velocità con cui nei tempi moderni le storie possono sovrapporsi ed incrociarsi; sa leggere la realtà storica e sociale del suo paese in modo immediato.
La storia di Miquel, che si autocandida ad eunuco per la sua supposta mancanza di fibra, tratta della storia di Spagna in maniera estesa, ripercorrendo le vicende della sua famiglia, ma anche puntuale, parlando delle sua storia, militante antifascista ai tempi di Franco. Le vicende di Miquel sono legate a quelle di casa Gensana, la casa di famiglia dove Julia, la collega, lo porta per una cena-confessione.
La casa di famiglia è diventata un ristorante, uno di quei ristoranti presuntuosi e pieni di gente presuntuosa e stupida che l’idealista Miquel non può che disprezzare. Al tavolo ci si confessa, ci si può confessare, se la compagnia lo merita. E’ a questa confessione che noi assistiamo nelle quattrocento e passa pagine in cui Miquel racconta a Julia dei bisnonni, dei nonni, del padre e dello zio Maurici; ma, soprattutto, assistiamo ai ricordi degli anni nei gruppi armati e al delitto inconfessato che è costato la vita a Bolos, l’amico di sempre di Miquel.
Miquel è un uomo costruito sulle perdite, un eunuco in senso proprio. Ha perso tre donne, i tre grandi amori della sua vita. Berta, la compagna per cui è diventato rivoluzionario; Gemma, la donna con cui ha cercato di trovare un posto anche per sé nel mondo reale dopo la fine della militanza armata; e Teresa, l’artista, la musicista, che lui ha amato dal primo momento che l’ha vista ma alla quale non ha saputo dire il suo amore prima che andasse, inconsapevole, a morire. Miquel è un eunuco, si crede un eunuco, perché la sua identità è costruita sulle mancanze, sulle perdite che ha subito nel corso della vita. Ma allora siamo tutti in parte degli eunuchi, perché sono solo le perdite, la vita con un tratto negativo davanti che ci fa cambiare, che ci fa mutare direzione rispetto all’implacabile incedere positivo che il mondo così com’è fatto – il migliore dei mondi possibili – si aspetta da noi.
Anche la morte, che potrebbe attendere in un punto ed in un momento imprecisato fuori dal ristorante il nostro Miquel, è il simbolo del negativo che accompagna con costanza chi è divenuto, magari involontariamente, così consapevole delle proprie azioni e del proprio conseguente destino da non temerli più.
In chiusura e per rinforzare tutto quello che è stato detto, le parole che l’autore ha messo dopo l’ultimo punto: Matadepera, 1991-1996. Cabrè non è certo il primo scrittore che c’ha messo cinque anni per fare un libro, né sarà l’ultimo; mi pare però il caso di mettere in rilievo questa nota, comune un tempo ma tanto rara nei libri d’oggi, prodotti a ciclo continuo da scrittori che bramano solo il proprio posticino sugli scaffali delle librerie, pronti e dispostissimi a scomparire nel tempo commerciale. Nessuna vergogna nel dire che ci sono voluti 5 anni per fare questo libro, anzi, l’orgoglioso proclama della necessità del tempo per rendere le cose vere, ché solo passando attraverso il tempo è possibile raggiungere un qualche tipo di significato, anche se questo significato è inevitabilmente destinato a cambiare, prima o poi.
Il tentativo di raggiungere la verità passa attraverso la negazione di essa, la verità per come la conosciamo è l’ombra della Verità che non potremo mai conoscere.

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