Recensione: Thomas Engerer, Morte apparente, Iperborea

Thomas Engerer, Morte apparente
Iperborea, pp. 35
Traduzione Ingrid Basso
 
Il titolo gioca su un doppio senso; la morte da cui inizia la vicenda non è infatti apparente nel senso di non essere reale ma nel senso che il colpevole non è colui che appare a prima vista, il solito immigrato pakistano la cui fidanzata viene trovata morta per lapidazione all’interno di una tenda. Un giornalista di una testata on-line, Henning Juul, appena rientrato al lavoro dopo due anni di ritiro forzato a causa di una disgrazia nella quale trova la morte il figlio, viene messo sul caso e ci conduce all’individuazione del colpevole con un paziente lavoro di indagine sulla vittima. Ci viene così restituito con precisione l’ambiente della ragazza, studentessa universitaria di cinema, senza trascurare una gang pakistana nella quale, in un primo momento sembra essere maturato l’omicidio e l’ambiente del giornale dove Hennings è costretto a incontrare la ex moglie che si porta dietro i ricordi della disgraziata sera in cui il figlio Julius muore nell’incendio provocato, forse, dalla sigaretta che il padre lascia accesa addormentandosi davanti alla televisione.
Un libro discreto in definitiva, con una scrittura a tratti ironica ed una buona capacità di costruzione dei personaggi comprimari, sul quale la casa editrice ha investito molto. Leggendo però si capisce che la storia è fatta per un pubblico norvegese, o al limite dell’area scandinava, e questo potrebbe condizionare il suo successo nel nostro paese. Il caso viene risolto grazie all’intuizione che una delle vittime – ce ne sono 3 nel romanzo alla fine – ha ingoiato delle pillole letali confondendole con dei confettini dolci. Il lettore norvegese si sarà sicuramente ricordato quando anche lui, da bambino, mangiava quelle caramelle ma temo che il famigerato lettore globale preferisca del veleno introdotto ad arte in un triplo big mac con il ketchup. Il libro è infarcito di nomi di vie della capitale e i personaggi hanno dei nomi impossibili da pronunciare. Sono tutti dettagli che ovviamente rendono il libro apprezzabile da un punto di vista astratto ma che temo giochino contro la sua vendibilità e contro la generazione del famigerato passaparola. Avremo a breve, credo, un segnale del successo ottenuto dal libro visto che l’esordiente Thomas Enger fa chiudere la storia al suo giornalista con l’apertura possibile di un nuovo caso che tormenta il passato di Hennings; in Germania è già uscito “Sterblich, una storia di Henning Juul”, in Italia l’editore, giustamente, aspetta i risultati della cassa.
La morte, reale questa volta, della cultura.

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