Zygmunt Bauman, L’etica in un mondo di consumatori, Laterza

Zygmunt Bauman, L’etica in un mondo di consumatori

Laterza, pp. 224, euro 16

Traduzione Fabio Galimberti

Vi introduco a quest’ultimo libro di Bauman specificando che in esso ci si occupa di quella branca della filosofia che, secondo il mio preconcetto, avrebbe dovuto perdere rilevanza da Kant in poi (ma non è così, si badi bene); dopo Nietzsche, che l’ha definitivamente affossata, si è invano cercato di recuperare qualcosa dal bel tempo passato; ora, grazie al lavoro di chi ha valutato l’essere umano nella sua stretta dipendenza dall’apparato burocratico-tecnologico ed alla consapevolezza che gli autori hanno raggiunto circa ciò che è successo nella disciplina, può tornare a rivestire un certo interesse. Tale interesse assume significato, come era del resto negli intendimenti originari della filosofia, nel caso di lavori organici come quello di Bauman di cui quest’ultimo libro non è che un ulteriore tassello. Solo un lavoro d’insieme che inserisca questa branca della filosofia in un discorso d’insieme che coinvolga l’estetica e la tecnica ha senso.

L’etica dunque. Dato che l’uomo è primariamente estetico, fisico, non esiste alcuna etica naturale. L’etica è, tutt’al più, il prodotto della ragione, della cultura. Solo attraverso la riflessione l’uomo può generalizzare all’Altro le norme di comportamento che sviluppa nella relazione diadica originaria: “Il messaggio ossessivamente ripetuto da Levinas nell’ultima parte della sua vita era che l’impulso morale, per quanto sovrano e autosufficiente nel quadro del collettivo morale a due, è di poca utilità quando ci si avventura oltre i suoi limiti” (p. 45). Oltre il limite della coppia c’è la società e quindi la politica. La politica è necessaria per fornire delle regole attorno a cui costruire un’etica condivisa. Ma l’etica non può essere imposta de lege.

Passando da una vita assolutamente locale, quale è stata fino al secolo scorso, ad una vita che suggerisce, seppure in modo ingannevole, la possibilità di essere globali, l’uomo ha perso di vista l’Altro come necessario completamento della vita. Quando si viveva in un’economia di scarsità, il controllo implicito sull’Altro, sui suoi bisogni come sui suoi possedimenti, era un elemento che contribuiva in maniera fondamentale al mantenimento dell’omeostasi, che è da sempre uno degli scopi delle culture – l’altro, implicito, è ovviamente la distruzione dell’omeostasi. L’aumentata disponibilità di oggetti insieme all’aumentata potenza della macchina burocratica nello stabilire che avesse diritto a questi oggetti ha fatto sì che si perdessero le norme implicite al funzionamento sociale; o meglio, l’uomo ha rinunciato a queste regole per la libertà che il consumo illusoriamente prospetta; ma la libertà non è la felicità né, tanto meno, l’eticità: “Al di sopra di questa modesta soglia, la correlazione tra ricchezza (e quindi, presumibilmente, livello di consumi) e felicità svanisce. Più reddito non porta più felicità” (p. 136).

Non bisogna confondere i due piani, evidentemente. La gestione politica attuale invece mantiene (consapevolmente o no?) tale confusione, rinunciando alla definizione dei limiti di comportamento possibili ai cittadini: ci pensa il mercato a definirli. Una volta ammessi al mercato, i cittadini saranno valutati in base alla loro capacità di giocare secondo le sue – del mercato – regole; “Non sono più in palio le regole del gioco ma unicamente l’ammissione al tavolo da gioco” (p. 89).

Si può essere felici senza essere etici e viceversa, proprio perché le due dimensioni della vita seguono binari propri. Questa cosa Bauman non la dice (non so poi se la pensi) espressamente, anche se l’ultimo capitolo, nel quale introduce il ruolo necessario della politica europea per il mantenimento di uno spiraglio di speranza nel futuro oscurato dalle prospettive del capitale, lascia supporre che sia così. L’etica, dicevo all’inizio, non è un prodotto naturale, è frutto della ragione mentre la felicità è all’opposto, completamente naturale, è il frutto di una disposizione dell’animo verso la realtà.

Il problema attuale è che la politica sembra voler garantire ai cittadini la possibilità d’essere felici mentre può, al massimo, permettere loro d’essere etici.

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