Recensioni: Gunther Anders, L’uomo è antiquato, vol. II

Gunther Anders,
L’uomo è antiquato.
Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale
Bollati Boringhieri, pp. 400, euro 18
Traduzione Maria Adelaide Mori

In questo secondo volume de L’uomo è antiquato Anders prende in considerazione il secondo corno dialettico del problema che l’interessa, ovvero l’uomo e il mondo esterno. Mentre nel primo volume avevamo ricevuto la spiegazione del perché l’anima fosse da ritenere insufficiente per la comprensione della tecnologia prodotta, in questo secondo libro la vita è addirittura considerata falsa e impossibile per l’esistenza delle macchine. E’ da chiarire in anticipo comunque che dietro le macchine c’è un potere che ha tutto l’interesse nel mantenere questo tipo di mondo: “La tesi, che va molto al di là dei risultati del primo volume, suona dunque: Così come il mondo esterno viene fornito in casa attraverso i media, la mentalità di casa viene portata fuori da chi esce nel mondo esterno. L’osservazione spesso ripetuta, che da alcuni decenni la differenza tra pubblico e privato si è cancellata, ha il suo fondamento in questo doppio movimento” (p. 76).

I media creano una realtà di comodo, preconfezionata, che non richiede sforzo alcuno da parte del soggetto, non richiede nello specifico lo sforzo dell’interpretazione. L’interpretazione infatti, la parte specifica che l’uomo mette nei fenomeni, si sta facendo vieppiù difficoltosa per la natura sfuggente dei fenomeni stessi, sfuggevolezza che dipende non tanto dagli oggetti che stanno dietro ai fenomeni quanto dalla forza preponderante della traduzione massmediatica. Questa forza è diretta a rendere difficile credere ad un mondo reale, a portare le persone a dare retta alle spiegazioni semplicistiche che il mondo reale negano; ciò è dovuto al fatto che il mondo reale è di per sé conflittuale, poco incline a farsi schematizzare e appianare. Chi detiene il potere ha tutto l’interesse ad assecondare una visione di questo tipo che diminuisce la libertà, e quindi la possibilità di sovversione, di chi guarda il mondo: “Che insegnamenti possiamo trarre dalle precedenti riflessioni? Che il termine ‘reificazione’ con cui vennero caratterizzate le tendenze della nostra epoca da un secolo a questa parte, non basta più a caratterizzare la nostra situazione odierna; che ci troviamo alla soglia di un nuovo stadio: di uno stadio nel quale, viceversa, la forma della cosa viene evitata, la cosa fluidificata. O perlomeno uno stadio in cui la fluidificazione dell’oggetto sarà tanto caratteristica quanto la reificazione del non oggettuale. Per questo stato di cose, finora trascurato dalla teoria, propongo il termine di ‘liquidazione’” (p. 48).

Molto prima di Bauman Anders sostiene che gli oggetti stanno smettendo di essere oggetti – diventano ‘versioni’ – e che questa perdita lascia l’individuo inerme di fronte a chi gli fornisce le versioni. Il pensiero unico ha una lunga storia alle spalle. L’uso della macchina informativa da parte dei nazisti è il primo, seppure acerbo, esempio di come il potere può creare i fenomeni usando l’informazione. Le masse in questo modo perdono definitivamente la possibilità, adombrata da Marx, di divenire soggetto storico. Per giungere a questo livello occorrerebbe infatti di disporre della capacità di modificare, di influire, sui processi sociali in base ai propri interessi. Ma questo non è più possibile perché gli interessi loro propri le masse li ricevono preconfezionati dai mezzi di informazione; in questo modo le masse diventano costoriche, ovvero divengono parti dipendenti dagli interessi di chi detiene il potere sui mezzi d’informazione.

Questi interessi sono numerosi. In primis, sicuramente, c’è il commercio. Dalla fine della seconda guerra la pubblicità è diventata la modalità privilegiata di rappresentazione del mondo, perché tramite essa il mondo risulta sempre disponibile, sempre positivo, sempre accessibile: “La pubblicità è un modus del nostro mondo. In linguaggio ontologico: come ‘essente’ si fa valere, come ‘essente’ viene riconosciuto, solo quello che nel bellum omnia contra omnes irradia una forza di esibizione e di attrazione più intensa degli altri” (p. 146). Secondo Anders questo è il più chiaro indice della maggiore importanza assunta dagli oggetti – in quanto rappresentazioni ovvero ‘versioni’ – rispetto ai soggetti. E dietro la rappresentazione degli oggetti vi è la preponderanza della tecnica: “Voglio dire che noi (…) abbiamo rinunciato (…) a considerare noi stessi (…) come i soggetti della storia; ci siamo detronizzati (…) e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia, anzi un solo soggetto: la tecnica” (p. 258).

Dalla supremazia della tecnica deriva l’alienazione del soggetto, secondo Anders, alienazione che si dispone su tutti i livelli. Collocare la causa dell’alienazione nella tecnica e non nei rapporti di proprietà, come sostengono i marxisti ortodossi, ha profonde conseguenze sulla struttura generale della teoria. Il pessimismo di Anders è dovuto proprio alla subalternità necessaria dell’uomo nei confronti della tecnica. Non sono in primis i rapporti di potere a giustificare la passività della gente comune, ma, appunto, qualcosa di insito alla tecnica e che quindi non ha soluzione, ché la tecnica è costorica alla società umana: “In altre parole può darsi benissimo che il pericolo che ci minaccia non consista nel cattivo uso della tecnica, ma sia implicito nell’essenza della tecnica in quanto tale” (p. 123).

Tutti i domini della vita associata moderna sono analizzati da Anders e in ognuno trova la pecca della finzione, della riduzione di ogni attività umana a funzione dell’apparato tecnocratico. Non pare esservi soluzione a questa condizione, che è generale; Anders però non si rifugia in un luddismo prima maniera, anche se tiene a precisare che il rifiuto della tecnologia a partire dalla considerazione dei suoi effetti sul mondo dell’uomo è fondamentale. Accorre altresì rifarsi alle risorse della filosofia. Il libro si conclude con alcune interessanti considerazioni metodologiche che possono essere utili a chiunque: “Di fatto, oggi quello che trionfa è l’irrazionalismo, e ciò proprio a causa della forma del nostro lavoro. Noi non sappiamo nemmeno di non sapere che cosa facciamo quando lavoriamo. Se questo non è irrazionalismo (e non soltanto come teoria filosofica, ma come condizione dell’umanità) allora io proprio non so cosa significhi questa parola. Tale irrazionalismo chiaramente non è il residuo di un passato prerazionalistico. Piuttosto – cosa che accade per la prima volta nella storia – esso deve la sua esistenza allo stesso razionalismo” (p. 372). Qui abbiamo la già nota – si torna a Voltaire – contrapposizione tra ragione e razionalità, ove la ragione è dell’uomo e la razionalità delle macchine.

Interesse precipuo delle varie correnti filosofiche che si sono succedute nella storia dell’uomo è ridurre tutta la realtà a spazio, perché solo ciò che è fissato si lascia trasformare in sistema. L’attuale negazione dei fenomeni temporali, l’evidente abbreviarsi di tutti gli avvenimenti e di tutti gli interessi, il concetto stesso di moda, sono la dimostrazione palese della vittoria che ha ottenuto nella mentalità conforme l’idea che non sia più necessario lasciare che il tempo trasformi le cose per trovarvi un senso. Il senso arriva già confezionato con la rappresentazione – televisiva – dell’evento e il tempo, lungo e ciclico, viene ridotto a successione di momenti. Anders chiude il libro allontanandosi decisamente da ogni idea di filosofia come sistema che tutto comprende e tutto spiega, preferendovi una filosofia più minuta, più d’occasione, che trova in ogni cosa spunto per riflettere sul senso, in ogni momento della vita sociale il pretesto per ragionare sulle storture di un mondo che ha abbandonato la sua possibilità d’essere umano. Se il sistema può essere uno dei modi che la letteratura ha trovato per esprimere il mondo, esso non è componente ontologica del mondo stesso: “…la sistematica non è una semplice forma di rappresentazione letteraria ma innanzitutto una forma metafisica a priori, l’affermazione appunto che lo stesso oggetto mondo che il sistema pretende di rappresentare è a sua volta un sistema – il che per la verità si dovrebbe prima dimostrare, poiché in genere si potrebbe pensare che il mondo come tutto si trovi in uno stato di disintegrazione; il che, per quanto riguardo il nostro mondo umano, è altamente probabile – con la qual cosa si direbbe che il grado di essere (Seinsgrad) del contesto è minore di quello delle entità particolari e che, contro Aristotele, il tutto è minore della somma delle sue parti” (p. 385

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