Recensioni: Stefano Cecchi, Qui muore Puccini, Stampa Alternativa

Stefano Cecchi, Qui muore Puccini

Stampa Alternativa, pp. 285, euro 15.

 

Dopo il buon esordio nella narrativa con In amore vince il cane, Stefano Cecchi si conferma autore di buon livello con questo secondo romanzo, un romanzo ad ambientazione storica.

Siamo nell’Italia fascista degli anni ’20, Mussolini era ancora un capopopolo anche se le camicie nere si stavano organizzando raccattando il peggio della società italiana, Matteotti non è ancora stato ucciso ma lo sarà nel corso del romanzo e, nella sua residenza di campagna, Giacomo Puccini vede capitargli in casa, a notte fonda, una ragazza impaurita. E’ Mara, alias Leda, che sta fuggendo da una banda delle camicie nere che hanno fermato ad un posto di blocco la macchina su cui lei viaggiava con il fidanzato ed il loro professore alla volta di un gruppo di lavoratori che protestavano contro le prime imposizioni del neonato governo fascista; come scopriremo poi, la situazione è presto degenerata ed ora lei, lasciata sola dai sodali, sta fuggendo. Arriva la macchina nera dei camiciati che però, vista la statura pubblica del padrone di casa, non osano bussare. La fuggitiva trova così rifugio per la notte, non prima però d’avere ammaliato il vecchio compositore che le dà in pegno il finale della Turandot, la sua ultima opera, per averne un giudizio. Al mattino la saluta dandole appuntamento per la sera con il giudizio sul suo lavoro; ma al ritorno del maestro, Mara non c’è più.

Ecco allora che entra in scena il maresciallo dei carabinieri Risaliti, amico intimo del maestro che gli affida la ricerca della ragazza e, soprattutto, del finale: copia unica, non c’erano ancora i file di back up.

Con Risaliti, soprannominato da Puccini Douglasse per la somiglianza con un divo di Hollywood del’epoca, percorriamo l’Italia che sta per diventare fascista a tutti gli effetti, lottando contro il potere che vuole questa trasformazione. Il manipolo di camicie nere protagonista del fattaccio di quella sera, sotto la guida del camerata Batrace, cercherà in ogni modo di impedire che Risaliti sveli la verità; nel frattempo, il maestro viene condotto a Bruxelles nel tentativo di curarlo da un cancro; ma la cura non riesce, e Puccini muore, senza essere riuscito a ricongiungersi con il finale della sua ultima, grande opera. Ma Douglasse riesce a scoprire la verità, anche se non potrà farci molto della sua scoperta, perché il potere farà capire a lui e a chi sta sopra di lui che quello che è successo va dimenticato, è come non fosse mai successo.

Il finale quindi non l’abbiamo con il trionfo della giustizia e della verità, ma con la mesta e malinconica figura di Risaliti che, due anni dopo la morte dell’amico, va alla Scala per la prima della Turandot. E a questo punto il titolo si spiega perché Toscanini, amico di Puccini e direttore dell’orchestra per la prima, giunto al punto in cui l’originale rimase incompiuto – questa è storia vera – si girò versò il pubblico mormorando le parole: “E a questo punto il maestro è morto.”

Un tributo alla grandezza artistica di Puccini ed un tributo alla natura definitiva della morte. A pochi anni dall’affermazione delle forze che avrebbero sprofondato per una quindicina d’anni l’Europa nel regno della morte mi pare che Toscanini si meriti appieno gli applausi finali di un commosso Douglasse allo stesso modo in cui Stefano Cecchi si merita il nostro grazie per averci offerto in modo tanto piacevole un pezzo poco noto della storia d’Italia.

 

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