Peter Woit, Neanche sbagliata, Codice

Peter Woit, Neanche sbagliata
Codice, pp. 272, euro 23
traduzione Andrea Migliori – Fabio Lonegro

Premetto che il mio tentativo di parlarvi di questo libro parte già con la consapevolezza dell’impossibilità di realizzarsi appieno. Il termine cui l’autore riferisce la frase di Wolfang Pauli, che è il titolo del libro, non è altro infatti che la teoria delle stringhe, la più incomprensibile teoria delle molecole mai formulata. Per non essere del tutto incomprensibile, e per tentare di realizzare in parte lo scopo della recensione, tenterò di fare un breve sunto della storia della fisica teorica da Newton ai giorni nostri.
Newton con le sue leggi del moto descriveva un universo molto semplice, tecnologicamente poco avanzato, per il quale era più che sufficiente sapere il comportamento prevedibile di un oggetto di dimensioni macro; la teoria newtoniana presentava comunque alcune falle, alcuni eventi che non si riuscivano a spiegare. Le ragioni di questa insufficienza sono annidate nella dimensione micro della realtà, ma questo non poteva essere noto ai tempi. Le scoperte di Einstein promettevano l’integrazione delle forze fondamentali della natura in un unico quadro. Meglio: Einstein sperava che con l’integrazione di tempo e forza gravitazionale potesse emergere una teoria complessiva in cui potesse essere eliminata la fastidiosa, per lui, aleatorietà del principio di Heisenberg.
Un passo indietro. Pochi anni dopo la formulazione della teoria della relatività generale, un gruppo di fisici teorici pose le basi per la nascita della fisica dei quanti, la fisica che si occupava di particelle subatomiche tanto piccole che non era possibile determinarne contemporaneamente posizione e velocità, il principio di Heisenberg appunto. La distribuzione di queste particelle nello spazio è definita da un campo di probabilità e da uno specifico settore della matematica. Per essere più precisi però – e qui si inizia il difficile – queste ‘particelle’ non sono tali nel senso newtoniano classico, non sono cioè definite dall’incrocio di tre vettori. E’ più sensato pensarle definite da infiniti vettori, visto che il campo di probabilità nel quale esistono va da 0 a 1 e i punti all’interno dell’intervallo 0-1 è infinito. Essendo descritte da una funzione di probabilità si è giunti a pensarle come stringhe, che definisco di seguito: “Una stringa è da intendersi come un percorso unidimensionale nello spazio, l’idealizzazione della posizione occupata da un pezzo di corda che giace in una certa configurazione nello spazio tridimensionale” (pp. 148-149).
Fino agli anni ’70 la fisica dei quanti era andata affermandosi in virtù dei suoi risultati e la comparsa della teoria delle stringhe parve dare la possibilità per un inquadramento teorico complessivo. Dopo dieci anni, privi peraltro di risultati sperimentali, la teoria delle stringhe figlierà la teoria delle superstringhe. Entrambe le teorie sono un ottimo esempio di matematica astratta di ultima generazione. Presentano però un difetto: non forniscono previsioni sperimentali.
In altre parole la teoria delle superstringhe non è altro che uno splendido castello matematico che se corrispondesse a qualcosa potrebbe spiegare tutto. Il problema è che non si è ancora trovato a cosa corrisponda. Tra le varie cose incomprensibili, ben descritte nel libro, c’è la questione, che avevo già sentito nominare in altri libri, delle dimensioni nascoste, e che m’è parsa la meno incomprensibile. L’universo sarebbe composto da 11 – o 26, ma non ho capito cosa determina le due opzioni – dimensioni, di cui però solo 4 hanno raggiunto un’esistenza reale; le altre hanno mantenuto dimensioni micromolecolari. Questi universi con più dimensioni nascoste sono il frutto della teoria delle superstringhe che, matematicamente, richiede la presenza di queste dimensioni che però non sono fisicamente, in senso einstainiano, rilevanti.
A questo punto racconto una storia parallela alla storia della fisica. Come tutti sanno, la fisica teorica fa un grande uso di matematica; ma, storicamente, tra matematici e fisici, non c’è stato un grande accorrere insieme alla risoluzione dei problemi. I fisici si occupano della realtà, devono trovare soluzioni, e stanno bene attenti a che le loro previsioni siano verificabili; i matematici invece stanno attenti alla fondatezza e coerenza dei loro ragionamenti. In questi ultimi decenni invece la fisica è stata sempre più occupata dalla matematica. I fisici, che teologicamente cercano la bellezza del cosmo (Dio non gioca a dadi è l’espressione della speranza di Einstein per una divinità che dotasse il tutto di senso, alla faccia del gruppo di Copenaghen), si sono lasciati affascinare della bellezza simmetrica della teoria delle stringhe. Il risultato è il dominio della ricerca da parte dei sostenitori di una teoria che non consente previsioni sperimentali.
A grandissime linee questo è il contenuto del libro, riassunto per voi da uno che è sempre stato rimandato a settembre o in fisica o in matematica e in un caso anche in entrambe. A lato della discussione scientifica, tendenzialmente di difficile comprensione, però, ci sono un paio di considerazioni social-filosofiche interessanti da fare.
La presa di possesso di tutti i gangli del potere della ricerca ha tolto linfa a programmi di ricerca alternativi. Questo è il classico esempio di una teoria che si autoavvera. La teoria delle stringhe è vera; tutti studiano la teoria delle stringhe; quindi la teoria delle stringhe è vera.
C’è poi la questione della falsicabilità. L’idea popperiana di falsicabilità come criterio di verità non è poi ‘sto gran che, possiamo dirlo. La fisica aristotelica dimostra che le errate previsioni sperimentali non sono sufficienti a far cadere una teoria. Alle spalle di ogni teoria – discorso sul piano del sapere – ci sono interessi economici e di controllo – discorso sul piano del potere. Però si suppone che ora si sia in un’epoca più illuminata, in cui vige il libero confronto delle idee e dei fatti. Questi, secondo l’autore, dovrebbero bastare a spostare l’attenzione dalla teoria delle stringhe. Così non è però, proprio perché i fondi di ricerca sono per lo più in mano a persone che hanno dedicato la loro vita a questo argomento e che, per motivi di coerenza ideologica, fanno fatica a riconoscere la possibilità di un errore.
Emerge, dalla lettura di questo libro, la conferma di uno stato di cose generalizzato, chiamato globalizzazione e che vale per la ricerca scientifica come per il commercio del caffè. Quando si fa una cosa sbagliata, eticamente o scientificamente non importa, basta che questa sia fatta sotto la tutela della tendenza dominante e si può continuare a farla. Diventa ingiudicabile.
Neanche sbagliata.
Antonio Donghi, libreria Terzo Mondo

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