Eduardo Mendoza, L’incredibile viaggio di Pomponio Flato, Giunti

Eduardo Mendoza, L’incredibile viaggio di Pomponio Flato
Giunti, pp. 175, euro 12.50
Traduzione Francesca Lazzarato

Prima che Gesù, figlio di Dio, compisse il suo periplo per la Palestina predicando la parola del padre per consegnarsi consapevole al suo destino di protomartire, c’è stato, ovviamente, un Gesù bambino che aveva un padre e una madre in carne e ossa e che viveva libero per le strade di Nazaret tra le quali vagava compiendo il suo apprendistato di uomo. Di questo Gesù poco o nulla ci è giunto, visto che l’apologetica cristiana si è dimostrata interessata solo al miracolo (?) della nascita e al breve periodo della predicazione. Il buon Mendoza, già noto in Italia per i suoi titoli editi da Feltrinelli, ci presenta un Gesù inedito, decenne, il cui padre, Giuseppe, è stato condannato a morte con l’accusa di omicidio. Dietro a questo fatto di sangue c’è una questione di lottizzazione di terreni nella quale sono coinvolti tutti; dal potere ecclesiastico del sinedrio al potere temporale del legato romano in Palestina.

Quello che però rende il romanzo veramente interessante e piacevole da leggere è l’artificio narrativo scovato dall’autore. Non abbiamo un Gesù che racconta in prima persona né una superiore voce narrante – possibilità questa già sfruttata per il personaggio storico Gesù – ma un normalissimo cives della potentissima Roma, il buon Pomponio Flato che, in una lettera ad un amico, racconta la sua avventura in Palestina.

Costui, animato dallo spirito del filosofo e quindi privo di averi, è ingaggiato per trenta denari da Gesù per scagionare il padre, a sua detta ingiustamente accusato d’omicidio. La strada che Pomponio percorrerà per giungere a scagionare l’incolpevole padre putativo è zeppa di citazioni alla storia sacra – la vicenda è totalmente inventata tiene a precisare l’autore – che rendono la lettura allo stesso tempo divertente e sorprendente, quando si capisce come sia possibile usare gli stessi elementi per costruire una storia diversa. Un certo senso di imprevedibilità aleggia per tutta la durata della storia, un’imprevedibilità che è sia dovuta al soggetto della stessa sia al concetto della realtà che avevano gli antichi, una realtà in cui l’inatteso aveva un posto ben preciso senza che fosse necessario spiegarlo: bastava raccontarlo.

Ma soprattutto convince l’uso dello stile epistolare, di cui i romani furono maestri, con il quale Pomponio, ormai salvo, racconta la sua avventura. La lettera abbassa il tono della narrazione, mostra come tutto sia sempre comprensibile se preso con la dovuta calma e ragionevolezza, porta tutto ad una dimensione umana; aspetto questo che, per il seguito della vita di Gesù, mi pare sia proprio stato perso di vista.

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