‘Ala Al-Aswani, Chicago,

‘Ala Al-Aswani, Chicago
Feltrinelli, pp. 310, euro 17.50
traduzione Bianca Longhi

Chiacago, America del Nord. Terra dura, fredda, in cui le vite di un gruppo di studenti borsisti dall’Egitto si intrecciano alle esistenze di chi nell’università già lavora da anni. Un argomento distante da tutti che però è trattato con una discreta arguzia dall’autore, già noto al pubblico per Palazzo Yacubian, tanto da renderlo più che accettabile per chi voglia scoprire aspetti poco noti del mondo globale.
Perché proprio di quel mondo si tratta in questo libro. Gli studenti arrivano tutti con una borsa di studio dall’Egitto; nella facoltà di istologia, dove si svolgono le vicende, c’è una discreta presenza di professori immigrati e le capacità degli studenti egiziani sono ampiamente riconosciute. Ciononostante, non basta essere capaci; il responsabile degli studenti, Ahmad Danana, è un incapace messo in quel posto per tenere sotto tallone eventuali moti d’indipendenza dei ragazzi momentaneamente immigrati. Quando arriva la notizia dell’arrivo del presidente egiziano a Chicago, il suo diretto superiore, Safwat Shaker, che mira ad un ruolo nel governo, mette in allerta i suoi uomini per garantire un’accoglienza degna a Mubarak (il nome del presidente non è comunque direttamente menzionato).
Alcuni degli studenti sono comunque, nonostante i tentativi di controllo, ostili al regime e si arriva così ad un tentativo di protesta; mentre Shaima, la più innocente studentessa che si potesse immaginare, travolta e ingannata, dalla passione, e dalla fiducia, per Tareq si avvia ad abortire il figlio concepito nel peccato, un gruppo di studenti fiancheggiati da alcuni professori si preparano alla lettura di un manifesto che denuncia la corruzione e le pratiche anti democratiche dell’Egitto contemporaneo.
Si arriva così al finale, in cui, classicamente, tutti i nodi vengono al pettine; ci saranno aborti e rinascite miracolose, morti e insuccessi; lo scrittore, che vive e lavora in Egitto (dove ha fondato un’associazione per la difesa dei diritti civili), usa gli elementi raccolti nella sua giovinezza in America per raccontare una storia che di americano ha solo i luoghi (oltre ad un paio di professori che incarnano gli stereotipi dell’Americano e del Rivoluzionario).
Chicago, un Palazzo Yacubian più grande?

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