Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri

Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena
Bollati Boringhieri, pp. 124, euro 9
traduzione Fabrizio Grillenzoni

Il paradigma che si è affermato nell’occidente, dal rinascimento in avanti, è quello dello sviluppo ad ogni costo: sempre e comunque crescere, anche a scapito dei limiti naturali; ma, vivendo noi in un sistema che è fisicamente chiuso, questa crescita avviene eliminando progressivamente elementi che l’ambiente aveva impiegato milioni d’anni a porre in ordine. Lo sviluppo tendenzialmente aumenta l’entropia. L’uomo, una parte dell’ordine che la natura ha generato, rischia di soccombere a questa dinamica. Latouche osserva che spetta proprio all’uomo attuare politiche tese ad evitare questa catastrofe volontaria. Parliamo allora delle politiche della decrescita.
Il problema è interamente politico, infatti. L’occidente, che condiziona il resto del mondo con il suo modo di vedere le cose, è bloccato nel modello dello sviluppo ad ogni costo; nessun partito si presenta all’elettorato proclamando il bisogno di ridurre la produzione, di porre dei limiti ragionevoli. Per conciliare sviluppo e distruzione dell’ambiente vitale si fa uso di slogan superficiali, come il noto sviluppo sostenibile. Senonché, dice Latouche, non vi può essere sviluppo sostenibile, ché lo sviluppo si fa sempre a spese di qualcosa. Può essere sostenibile dal punto di vista dell’azienda che fa affari riciclando rifiuti, non dal pianeta che da qualche parte questi rifiuti li deve mettere.
La crescita a oltranza è anche dannosa alla struttura sociale dei paesi che l’hanno adottata. La solidarietà sociale è possibile solo in un ambiente di scarsità, non certo di eccedenza. Se vi sono controindicazioni sia sul piano materiale sia su quello sociale, l’unico motivo per cui lo sviluppismo continua a mietere vittime è che tutti lo rincorrono come l’unico modello possibile; e questo è responsabilità della politica, una politica ormai interamente subordinata all’economia. Latouche dice invece che un altro mondo è possibile, e per farlo occorrono strumenti politici.
Richiama allora gli insegnamenti di Ivan Illich sulla convivialità e le esperienze di economie alternative dell’Africa pre coloniale indicandole come possibilità attuabili. Estremamente coerente però, Latouche rifiuta il passaggio del modello della decrescita a partito politico, riconoscendo l’inevitabilità dell’essere risucchiati negli ingranaggi del sistema. Molto meglio, sostiene, è restare pungolo esterno ai movimenti di sinistra che si dimostreranno sensibili alle sue idee.
L’analisi di Latouche, benché teoricamente ineccepibile, mostra dei limiti pratici. Oltre al fatto, inessenziale invero pur tuttavia significativo, che Latouche fa questi discorsi sul localismo da un punto di vista di uno che gestisce una vita globale – chi vive localmente, con difficoltà percepisce i limiti dell’essere globale vedendo solo i propri, di limiti – occorre avere anche un’ottica minimamente storicista, e riconoscere che l’opposizione dei due modelli si è ripetuta per tutta la storia dell’uomo. Se proprio vogliamo essere pignoli, la differenza attuale sta nel fatto che ora è la maggioranza che vuole lo sviluppo, mentre una volta erano in pochi quelli che lo promuovevano. Occorre un equilibrio tra le due spinte, ma l’equilibrio non si ottiene attestandosi su una posizione; occorre invece permettere l’alternanza dei due momenti: la dialettica è il motore della storia. Dato che il modello dello sviluppo non pare intenzionato a farsi da parte, la decrescita deve mantenere la propria posizione, anche attraverso previsioni cassandresche come quelle di Latouche.
Nell’ultimo capitolo la decrescita viene ricondotta al grande bacino ideale dell’umanesimo. Dando per buona questa conclusione – che toglie qualunque possibilità ai movimenti di destra di richiamarsi ad un principio fondamentalmente anti capitalista com’è la decrescita – proporrei di rititolare il volume con qualcosa come: Breve trattato su come campare sereni – sereno è colui che non ambisce alla crescita come unica prospettiva di vita pur senza arrivare ad escluderla – in un mondo che inquieta(nte)mente continua a crescere.

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