Il diavolo custode, Luigi Balocchi, Meridiano zero

Luigi Balocchi, Il diavolo custode
Meridiano Zero, pp. 253, euro 14

Sante Pollastro, chi era costui? Sicuramente perché appartiene alle oscure schiere dell’anarchia, Sante Pollastro non accenderà luci d’intuizione nelle menti dei lettori di questa rubrica, non quante se ne accenderebbero se parlassi di un oscuro filosofo greco del II secolo avanti cristo, reso celebre dalle patrie lettere. Inoltre, ma altrettanto sicuramente, perché l’anarchia pratica, quella dei regicidi, quella di chi si oppone praticamente al sistema, non ha più, se mai l’ha avuta, una buona stampa; e quindi la storia di quest’uomo, precocemente orfano, costretto da subito a lottare per avere qualcosa, non spingerà mai nessuno a raccontarla e tanti meno ad ascoltarla. Riconosciamo dunque il merito a Luigi Balocchi di essersi preso la briga di documentarsi sulla vita di Sante e di avercela presentata in forma di romanzo. Mi resta comunque qualche dubbio sulla scelta stilistica di narrare in una lingua simil dialettale; ma su questo, tornerò alla fine.
Sante Pollastro nasce a Novi Ligure nel 1899 e già nel 1912 è in galera, per avere rubato del carbone. Fino all’arresto in terra francese, il Santein, così chiamato in dialetto dai compagni, non tornerà più dietro le sbarre. Eppure, da quel primo furto, è tutto un susseguirsi di colpi, un crescendo di audacia e di sfida nei confronti della proprietà, il nemico dei poveri. Ché il Santein non rubava solo per sé, nel senso che era assai prodigo nei confronti di chi gli aveva dimostrato di meritarsi il suo aiuto. E quindi da questa figura mitica nei circoli extra legali dell’epoca, tutti si potevano aspettare un aiuto, in caso di necessità.
Ma non è un banale Robin Hood, lui buono contro i cattivi. Il merito di Balocchi sta nell’averci raccontato anche le storture del percorso del Santein. Dopo i primi furtarelli, si arriva infatti all’omicidio e da quel momento la banda diventa un nemico pubblico. L’opposizione ai fascisti è ideologica ma soprattutto pratica; e quando si fa tanta pratica, si fanno anche molti errori. Del resto, la predilezione per la teoria, limite insormontabile degli anarchici postmoderni, porta all’incapacità di influire direttamente sulle cose. Vissuto in un periodo in cui poteva ancora sopravvivere l’illusione che vi fosse una qualche scappatoia dalle maglie del sistema, il Santein utilizza il solo metodo noto al popolo: riprendersi illegalmente ciò che con la legalità è stato sottratto. E se ci scappa il morto, sono cose che succedono. Nulla ferma il Santein ed i suoi. Con il sostegno implicito del popolino, ancora libero dal condizionamento ideologico indotto dai potenti per cui se ognuno fa il suo dovere tutto funziona meglio, riuscirà a fuggire alla polizia ed alle armate regie fino ai primi anni ’30, quando, oltr’alpe, sarà catturato dalla polizia francese.
La vicenda, proprio perché marginale e fuori dalla corrente primaria della storia, è molto interessante e si fa leggere. L’autore ha scelto di utilizzare una lingua che mischia l’italiano a forme dialettali pavesi e milanesi, ottenendo il risultato di una scrittura molto cantabile, epica direi. Mentre leggevo il libro ero quasi portato a fare delle pause per tenere il ritmo musicale della lettura. Se questo è sicuramente un merito del libro, va anche riconosciuto come il limite che esso porta con sé.
Il tentativo di riproporre la lingua parlata attraverso lo scritto comporta la riproposizione della struttura di potere che l’imprecisione voluta nell’uso della lingua scritta simil dialettale non permette di vedere. In altre parole un linguaggio impreciso, dal significato sfumato com’è di necessità il dialetto per noi, pare giustificare l’esistente che di fatto non ha altra giustificazione che se stesso. Forse per questo molte delle gesta del Santein mi sono sembrate gratuite, dovute solo all’incapacità, pratica, di vedere un alternativa al potere. O forse, invece, è proprio così. Non c’è un’alternativa al potere, se non nella distruzione del potere. L’angelo custode garantisce la giustizia nell’al di là. Il Santein la vuole qua, subito.
Il nostro diavolo custode.

One thought on “Il diavolo custode, Luigi Balocchi, Meridiano zero

  1. Il bandito e il campione
    Francesco De Gregori

    Due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta
    Un’unica passione per la bicicletta
    Un incrocio di destini in una strana storia
    Di cui nei giorni nostri si è persa la memoria
    Una storia d’altri tempi, di prima del motore
    Quando si correva per rabbia o per amore
    Ma fra rabbia ed amore il distacco già cresce
    E chi sarà il campione già si capisce.
    Vai Girardengo, vai grande campione !
    Nessuno ti segue su quello stradone.
    Vai Girardengo ! Non si vede più Sante
    È dietro a quella curva, è sempre più distante
    E dietro alla curva del tempo che vola
    C’è Sante in bicicletta e in mano ha una pistola
    Se di notte è inseguito spara
    E centra ogni fanale
    Sante il bandito ha una mira eccezionale
    E lo sanno le banche e lo sa la Questura
    Sante il bandito mette proprio paura
    E non servono le taglie e non basta il coraggio
    Sante il bandito ha troppo vantaggio
    Fun antica miseria od un torto subito
    A fare del ragazzo un feroce bandito
    Ma al proprio destino nessuno gli sfugge
    Cercavi giustizia ma trovasti la Legge
    Ma un bravo poliziotto
    Che conosce il suo mestiere
    Sa che ogni uomo ha un vizio
    Che lo farà cadere
    E ti fece cadere la tua grande passione
    Di aspettare l’arrivo dell’amico campione
    Quel traguardo volante ti vide in manette
    Brillavano al sole come due biciclette
    Sante Pollastri il tuo Giro è finito
    E già si racconta che qualcuno ha tradito
    Vai Girardengo, vai grande campione !
    Nessuno ti segue su quello stradone
    Vai Girardengo ! Non si vede più Sante
    È sempre più lontano, sempre più distante
    Sempre più lontano, sempre più distante…

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